giovedì 23 dicembre 2010

Il miracolo del Natale



Con l'avvicinarsi del Natale, di anno in anno avverto in maniera sempre più forte una cosa: la 'magia' del Natale è una cosa sempre più rara.

Dicesi 'miracolo di Natale' (s.m.) quella sensazione che in fondo il mondo non sia un posto poi così schifoso; che, pensandoci bene, ai vari problemi e alle varie avversità con cui bisogna fare i conti c'è sempre un rimedio; quel calore sprigionarsi attorno a dove un medico direbbe è sito il cuore, che sembra dirci che non è ancora tutto perduto, che c'è sempre speranza, che le cose possono cambiare se iniziamo a volerlo davvero, alzandoci simbolicamente e lavorando in tal senso. Questa e tante altre definizioni simili, sono sempre meno avvertite in giro, di anno in anno, man mano che si avvicina la data fatidica. Questo post non vuole essere una cosa trita e ritrita sul consumismo dilagante (nonostante la crisi), e sul vero significato del Natale che è altro dal farsi regali, etc. etc.

Il punto è un altro: come tante altre cose che la società in cui viviamo ci ha indotto a pensare, l'errore principale sta probabilmente nel fatto che diamo per scontato che a Natale il miracolo sia d'uopo, e quindi non ci si impegna più di tanto perché ciò si verifichi. Che è un pò come dare per scontato che "a Natale si è tutti più buoni". Almeno finché non iniziano le liti familiari per chi ha fatto prima ambo, o perché figli e nipoti vogliono guardare cose differenti.

Ma non è detto che le liti di cui sopra non possano essere catalizzanti per il 'miracolo'. Non esistono canoni che lo inneschino, può essere qualsiasi cosa: un 'tenero sorriso', un messaggio, la regolamentare trasmissione di "Una poltrona per due" alla televisione la sera della vigilia...

Il mio umile augurio per queste feste non può pertanto non essere quello che vi si risvegli quel circolo di canzoni natalizie, scampanellii nell'animo, voglia di lucine colorate, addobbi fluorescenti e, soprattutto, zenzero.

sabato 2 ottobre 2010

Ricetta per Inception

Prendete un quarto di The Prestige, aggiungeteci una spolverata di The Matrix (il primo, l'unico interamente degno di nota), un pizzico di varie sequenze d'azione dei film di James Bond (lo stesso Nolan ha dichiarato che questo è il "suo" spy-movie) ed otterrete Inception. Meglio ancora, poi, se mentre preparate mettete di sottofondo l'ottima musica del trailer.



E' uno di quei casi in cui il risultato finale è infinitamente superiore ai singoli ingredienti. Inception non è un film leggero, né tantomeno da vedere e seguire troppo sovrappensiero[*] (ma quale film tra quelli di Nolan non lo è? Ok, forse parte di Batman Begins): lo spettatore è immerso in 2 ore e 20 di esplorazione ed analisi onirica, è portato ad esaminare il funzionamento stesso dei sogni e del subconscio umano, con però il solito "taglio alla Nolan", ossia "tutto è reso nel modo più realistico (e visivamente pulito) possibile". Tuttavia, il film non risulta affatto noioso o pesante da seguire, anzi si lascia guardare ammaliando e catturando l'attenzione dello spettatore, ipnotizzandolo fino alla conclusione delle vicende, merito anche di una equilibrata contrapposizione tra momenti quieti e scene d'azione.

Vista la recente tendenza di Hollywood (da un pò importata anche qui) a far durare obbligatoriamente i film almeno 2 ore[**], ero un tantino preoccupato per la durata del film: invece, questa non si "accusa" né durante né dopo la visione. Anzi, dopo è molto probabile che lo spettatore sia più 'sveglio' di prima, e passi inesorabilmente le ore successive alla visione a ragionare sulle varie teorie esposte nel film. Altra ottima caratteristica dei film di Nolan.

Capitolo attori: nel complesso tutti molto bravi e molto in parte, sia i 'veterani' dei film di Nolan (Michael Caine, Cillian Murphy) che i 'nuovi' (Leonardo DiCaprio, Ellen Page, etc.). Menzione speciale per Marion Cotillard, tanto brava quanto affascinante.

Giusto un appunto: se volete andare a vederlo, ponetevi in un embargo da media e siti web ad alto rischio spoiler (cioè la maggior parte, tranne poche isole felici. E competenti). Come fatto notare anche da Mymovies, lì per lì non capireste un tubo (davvero) e finireste solo per impiantare nella vosta mente qualcosa che potrebbe invece rovinarvi l'effetto del film al momento della visione.

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[*] Quelli che chiamo "film di sottofondo", dove qualsiasi cosa tu stia facendo, presti attenzione per 2-3 minuti al film in qualsiasi momento e capisci tutto come se lo avessi seguito religiosamente. Ad esempio, tutti i film di Pieraccioni post-Ciclone (cioè il Ciclone con titolo e attrice-di-cui-il-protagonista-si-innamora diversi). I cinepanettoni invece non rientrano in questa categoria: lì se ti distrai rischi di perderti qualche rutto o qualche battuta gratuitamente volgare stra-telefonata, perdendo l'effetto catartico della pellicola di farti chiedere "com'è possibile che la gente vada al cinema ogni anno a vedersi questa cagata", e in secondo luogo di farti riflettere sulla tua condizione che ti ha portato a vedere quel film.
[**] Se un film dura tanto, vuol dire che ha tanto da dire, dunque è profondo[***] e intellettualoide, dunque "bello" per lo spettatore medio. O, in versione abbreviata, "lungo è bello".
[***] Per dire, Avatar dura quasi 3 ore. Senza scene tagliate di panorami e di Na'vi che fanno sesso tramite porta usb sulla nuca. Ma lì si parla di un altro tipo di profondità.

lunedì 13 settembre 2010

Ho imparato di recente

Se si vuole procreare per poi lasciare il criaturo a piangere, urlare e strepitare per 11-12 ore al giorno, allora meglio usare preservativi più spesso. Così si risparmiano anche 9 mesi di stress e spese extra, tra le visite periodiche dal ginecologo, la cameretta, le pappine, i vestitini, la culla, le medicine. E ciò detto da uno cui piacciono i pargoli: così tanto che appena lo sente piangere corre a vedere cosa c'è che non va e cerca di calmarlo, invece di fargli sfinire i polmoni suoi, e i timpani miei e del vicinato.

Perché parlare così tanto di diritto alla privacy, quando ci sono persone che ci campano sull'assenza di privacy nelle loro vite, a cominciare da vippazzi e starlette assortite per finire ai "giornalisti" che scrivono su riviste appositamente patinate che, se maschio, ti senti in colpa solo a guardarle (manco avessi sbirciato il tradizionale e rigorosamente vintage "settore per adulti" opportunamente nascosto in ogni edicola che si rispetti). O, per fare un esempio più vicino, la maggior parte delle persone nel raggio di circa 50m da camera mia che parla come se stesse facendo un comizio inerente il proprio weekend, la lista della spesa, gli impegni pomeridiani.

Dimenticavo: il ministro Brunetta per me è il più riuscito personaggio di Paolo Rossi. Pensateci: hanno le stesse gestualità, lo stesso modo di esprimersi (a cominciare dall'intonazione), e soprattutto non sono mai nello stesso luogo contemporaneamente!

giovedì 9 settembre 2010

Capita di nuovo

Capita di nuovo che questo sia uno di "quei" periodi della vita. Uno di quei periodi in cui ti senti avvolto in una sorta di limbo: avvolgente, comodo, apparentemente sicuro nella sua vacuità. Magari fuori c'è una tempesta più o meno metaforica, ma a te la cosa non tange, non preoccupa. Il limbo ti rende come apatico: leggi, ti informi di ciò che succede al di fuori del nido dove reciti la tua vita, quella piccola parte quotidiana che hai; ma, in fondo, sai che la cosa al di là delle sensazioni provate durante e dopo la lettura, non ti interessa troppo. Il limbo a poco a poco assorbe ciò che provi in relazione agli stimoli dall'esterno. E' il prezzo da pagare per l'illusoria ma al momento tangibile sicurezza che ricevi.
Capita di nuovo che il tempo in uno di questi periodi si dilati: i secondi diventano minuti, i minuti ore, e così via. Il tuo orologio mentale avverte che magari è oramai il tramonto, e inizia a preordinarsi ciò che quell'ora richiede di fare: preparare la cena, prepararsi per uscire, decidere come passare la serata. Poi invece guardi l'orologio e scopri che a stento è passata l'ora del tè. Hai un attimo di smarrimento, poi ti chiedi la cosa fondamentale: come è possibile che quello che stavi facendo ti abbia mentalmente portato così avanti nel "tuo" tempo percepito? Di solito si dice che più uno fa una cosa che gli piace, più il tempo passa velocemente. Ma non ti sembra di essere particolarmente divertito, stavi solo "riempiendo" quel lasso di tempo con "qualcosa".
Capita di nuovo che tu ti metta a sognare. Sogni di dover fare qualcosa, qualcosa di normale. Vedi facce che assomigliano a quelle di tutti i giorni, e che un istante dopo diventano più o meno familiari. Ti trovi in posti a te familiari, mischiati o camuffati da altre cose. Nei sogni nessuna altra entità si stupisce mai del nostro stupore nel realizzare queste cose. Puoi essere in un ufficio comunale che in realtà è la vecchia casa dove abitava tua nonna, ed essere naturalmente sorpreso di ciò: ma le persone che sono con te nel sogno non ti chiederanno mai "Perché quella faccia?". Perché, probabilmente, anche loro sono così: immagini sovrapposte in un mondo sovrapposto. Come probabilmente sei tu stesso nei tuoi sogni.

domenica 22 agosto 2010

Speranza

La speranza è un posto, né caldo, né freddo, ma che avverti accogliente.

La speranza è un'alba o un tramonto: non sai con precisione se sta sorgendo o tramontando ma nel frattempo stai lì ad ammirare.

La speranza è lo sguardo immutevole di un cucciolo di animale, anche di uomo, mentre cresce.

mercoledì 18 agosto 2010

Sul bordo

Sono sul bordo di un promontorio. La maggior parte delle persone, in circostanze come queste, come prima cosa abbasserebbe lo sguardo, per guardare cosa c'è in basso: probabilmente per orientarsi, o per capire quanto in alto si trovino. Non io, o almeno non in questa circostanza.

Non che mi importi quello che c'è giù. Normalmente guarderei in basso, ma, a differenza degli altri, per paura più che per curiosità: per capire che tipo di atterraggio mi aspetterebbe qualora, per un motivo o per un altro, cadessi, seguendo la legge di gravità. Valutare l'entità dei danni al mio corpo, alle mie ossa, i tessuti lacerati, l'emorragia, il tempo necessario perché arrivassero eventualmente i soccorsi. Questo è l'iter mentale che avrei fatto in condizioni normali.

Ora, invece, non mi interessa. Sono qui ormai da alcuni minuti e non so cosa ci sia in basso. Né devo in qualche modo sforzarmi per non guardare in basso. Probabilmente scogli che affiorano dal mare, onde che si infrangono contro di essi. O una spiaggia, una insenatura dove la risacca del mare indurisce la sabbia quanto basta per farne castelli, fanghi o palle da tirare. O ancora dei rifiuti, rottami arrugginiti dalla salsedine lasciati lì a marcire pensando che nessuno ci avrebbe mai fatto caso, o meglio, non pensando affatto alle eventuali conseguenze. Ma tutto questo non importa.

Quello che cattura la mia attenzione invece è ciò che ho davanti: il cielo. Probabilmente pochi lo notano, ma in certi momenti della giornata, senza ostacoli davanti a sé, è possibile vedere nitidamente la linea dell'orizzonte. Vedere de facto la più realistica rappresentazione di terra e cielo come entità separate. E perdercisi dentro, come fosse un nuovo universo da esplorare. Il pensiero è troppo immenso da comprendere, e dopo un pò gira la testa.

E poi le varie tonalità del cielo: ora, per esempio, è quasi arancione, credo sia per il tramonto. O l'alba. Le nubi subiscono la colorazione poi come dei gangli di colore, delle punte più cupe ma non per questo meno fondamentali sulla tela. Non credo che le tonalità del cielo possano esistere ricreate artificialmente, né dal più bravo paesaggista né da qualche macchinario iper-sofisticato usato per gli effetti speciali di qualche film. Non è mai come lo percepiamo naturalmente. Né mai potrà esserlo.

Un'altra cosa che mi colpisce è il silenzio: un assordante silenzio che mi fa sentire solo i miei pensieri. Letteralmente. Anche volendo, non riesco ad aprire la bocca e ad articolare qualcosa più di un filo di voce. Quasi a non voler rovinare l'incantesimo. E' un silenzio quasi innaturale: uno di quelli dove, se fosse un film, da spettatore sapresti che il killer è lì pronto a colpire da un momento all'altro, al che dei violini ne squarciano l'esistenza.

D'improvviso si alza un refolo di vento, caldo. Il suo odore mi riempie. Non credo sappia di mare, né di salsedine. Sa solo di "caldo". Allora chiudo gli occhi, tremante. Una lacrima, non invitata, mi scende dal lato destro del viso. Plic. Sento il suo infrangersi per terra.

Al che, compio un passo avanti.

domenica 25 luglio 2010

Come ogni anno, ma sempre in maniera diversa.

Come ogni anno di questi tempi, quel poco di ispirazione che mi tiene insieme si eclissa.

(Quanto era prevedibile una battuta sul caldo? Troppo. Ecco perché non c'è.)

Questo non vuole essere - e di certo non sarà - uno di quei post tristi di come se ne vedono su blog gggiovani dallo sfondo nero, pieni di glitter e di foto fatte davanti allo specchio in pose che si ha il coraggio di fare solo in un ambiente chiuso - di solito in bagno - davanti allo specchio.

(Ehi, anche questo sito ha lo sfondo nero. Ma non ha i glitter e le foto quanto-sono-figo-allo-specchio. La verità è che sono allergico al glitter.)

Vorrebbe solo essere un punto più o meno fermo di un ragionamento: l'estate di solito, dal mio punto di vista, è stata sempre foriera di cambiamenti. Nel bene o nel male.

Ora. Normalmente non disprezzo la tranquilla routine delle cose, riconoscendola come un 'porto sicuro' cui far sempre ritorno ogni tanto quando si è in cerca di un centro di gravità (cit.). E, allo stesso tempo, cerco di adattarmi ai cambiamenti, prima o poi inevitabili. Ma, visti gli eventi personali apportati finora da questo nefasto 2010, devo ammetterlo: ho pressocché paura. Paura di cosa mi può aspettare al di là di questo 'limbo' di una 30ina abbondante di giorni, dove bene o male tutti* sembrano mettere le proprie vite 'in pausa' e dedicarsi ad altro, di solito "a ciò che non si fa normalmente nei rimanenti 335 giorni dell'anno". Per carità, è assolutamente sacrosanto, sarei ipocrita a biasimare ciò.

(* Tutti tranne il governo, per stessa ammissione del pres.del.cons. Ma questo, vista la situazione precaria di praticamente TUTTO, non mi fa sentire più tranquillo.)

La realtà, forse, è che non sono così bravo in questo 'mettersi in pausa'. Peggio che mai nel farlo 'consapevolmente', vivendolo cioè come una cosa da fare 'perché non si può fare altrimenti'.

(Grazie, ereditarietà genetica!)

La realtà, forse, è che ho paura che, diversamente da ciò cui mi 'preparo' di solito, possa effettivamente esserci un cambiamento in positivo.

E che, in quel momento, non riesca ad apprezzarlo.

mercoledì 30 giugno 2010

Il caldo.

Il caldo è vita. Il caldo è benessere. Il caldo è sentire la sensazione della propria pelle "respirare", nutrirsi dei raggi del sole. E' capire un pò cosa provano le piante. Il caldo è impiegare metà del tempo normalmente impiegato a vestirsi. Il caldo è ricevere una sensazione generale di benessere. Spesso immotivata.

Il caldo è apatia, che è parente antipatica della pigrizia. Il caldo è stordimento come dopo aver visto a ripetizione la Corazzata Potemkin per 48h di fila. Il caldo è sentire la classica goccia di sudore farsi strada tra la propria fronte aggrottata per quel "qualcosa di strano" percepito sopra le sopracciglia. Il caldo è essere incapaci di far qualcosa di troppo sensato tra le 15 e le 18, a meno di aria climatizzata. Il caldo è cercare l'angolino freddo del proprio letto, durante una notte di risvegli dovuti al troppo caldo.

giovedì 24 giugno 2010

Dobrý deň , Taliansko.

"Finisce l'era Lippi". Così i telecronisti della RAI hanno sentenziato alla fine dell'ultima partita disputata dalla nazionale italiana. E probabilmente non c'è un termine più appropriato.

Brevi note sulla partita: visto l'obiettivo passato da "arrivare più in avanti possibile" a "arrivare ad uscire con dignità contro l'Olanda agli ottavi", le aspettative erano basse. Tuttavia, si è rivelata molto furba - per gli Slovacchi - la tattica di scendere in campo solo nel 2° tempo, visti gli evidenti limiti atletici mostrati dalla nazionale nelle scorse partite, tali da far sembrare che al posto del Paraguay ci fosse l'Argentina.

Incomprensibile (e dettata da chissà quali ragionamenti) la scelta di tenere in panchina e far entrare solo in un secondo, tardivo, momento il blocco partenopeo Maggio-Quagliarella, tra i più in forma dei 23 convocati, che hanno fatto poi molto in campo, soprattutto quest'ultimo, gol a parte.

Il fatto più grave, poi, è che è lapalissiano come l'Italia non abbia una-idea-una di gioco che non sia "palla a Pirlo e speriamo". Vd. le dieci piccole differenze tra il primo e il secondo tempo, quando rispettivamente non c'era o c'era.

Su Cannavaro ho già detto tutto. Per chi cercasse altri insulti, si guardi il 1° o il 3° gol della Slovacchia. E no, quello che corre a millemila l'ora non è Messi, Cristiano Ronaldo o lo stesso Hamsik. E' Kopunek, un Carneade qualunque. Ma sufficiente per la (scarsa) difesa italiana.

A questo punto starà a Prandelli, uno che con giocatori giovani ha sempre fatto benissimo, formare un nuovo gruppo. Possibilmente con l'aiuto delle squadre della Serie A (vero, Inter?)

martedì 22 giugno 2010

Lega, il calciomercato.

"Tanto la partita contro la Slovacchia la compreranno, vedrete che nel prossimo campionato ci saranno due o tre calciatori slovacchi nelle squadre italiane...". Umberto Bossi. 

Mi chiedo cosa cerchi di nascondere la Lega con la sequela di dichiarazioni non-sense rilasciate durante la campagna d'Africa della nazionale (ricordiamo la precedente querelle del sempre vispo Calderoli, naturalmente con orsacchiotto Polentino al seguito).

O l'Italia è in una profondissima crisi economica, che ormai neppure Minzolini riesce a nascondere.

O i leghisti "duri e puri" (cioè quelli che ritengono Renzo Bossi un intellettuale) iniziano a capire che il federalismo dovrà essere rimandato un'altra volta a data da destinarsi, tant'è vero che si è delirato nuovamente di "secessione". Ma probabilmente lì c'entra l'acqua del Po.

Oppure più semplicemente è questa la tattica di Bossi, imparata dal premier, per appianare gli ultimi smarcamenti operati da Fini (sicuramente migliori di quelli mostrati dagli attaccanti italiani finora, va detto): rubargli la scena.


PS. Certo comunque che se la Lega ci tiene tanto a separarsi dall'Italia, potrebbe iniziare a rifiutare i rimborsi elettorali, o quantomeno il ricco stipendio da parlamentare proveniente da "Roma ladrona". Per dare un segnale, eh.

domenica 20 giugno 2010

I kiwi? Indigesti.

Dopo la mirabolante prestazione contro il Paraguay, che avendo battuto la Slovacchia per la stampa italiana è diventato di diritto "forte" (giustificando così la magra figura della scorsa partita), l'Italia ha da poco disputato una partita contro la Nuova Zelanda.

Anzitutto, non si sa bene partita di cosa: gli italiani abbozzavano qualcosa di calcio, nello specifico il famoso modulo "palla lunga e spera", altresì noto come "pane e salame", che tanto bene ha portato alla carriera di Mondonico; i neozelandesi invece erano più convinti di giocare a rugby: uso continuo di gomiti e contrasti non proprio calcistici (il saggio Andrea ha riscontrato anche alcune mosse di Wing Tsun), nonché tattiche ispirate proprio a quello sport.

L'Italia dicevo, ha abbozzato qualcosa di calcistico. Non si sa bene cosa, in quanto il pareggio è giunto solo su un (sacrosanto) calcio di rigore, e il resto della partita è stato solo possesso palla, tiri da lontano, e gol mancati talvolta per (incredibile) bravura del portiere neozelandese. Diciamo che le speranze di uscire quantomeno con dignità (diciamo almeno dai quarti in poi hanno subito un ridimensionamento: ora andrà bene se l'Italia uscirà agli ottavi contro l'Olanda.


Sia chiaro, Lippi non è di colpo diventato un incapace, altrimenti avremmo ciccato anche quattro anni fa, ma certo alcune sue scelte fanno discutere:

  • Cannavaro F. (indovinate di chi è la colpa del gol dei kiwi?) è sempre più palesemente ritirato (leggi: "Pronto per gli Emirati Arabi") a sua insaputa, segno distintivo che non c'è solo Scajola cui sfuggono cose piuttosto importanti ed elementari cui prestare attenzione (vien quasi da rimpiangere il fratello Cannavaro P., che non è che sia una cima qualitativamente);
  • Marchisio si vede che non può essere il nuovo Pirlo, ma può attribuirsi al più una leggera variante della suddetta definizione;
  • a parte Camoranesi, che è sempre impegnato nel suo sport di far cacciare all'arbitro un cartellino nei suoi confronti il più rapidamente possibile, non abbiamo i cosiddetti "giocolieri", cioè coloro i quali saltano l'uomo e si involano sulla fascia (a parte forse Pepe);
  • in attacco Gilardino è praticamente in bermuda (cit.), Iaquinta chiaramente non è un uomo d'area da 15-20 gol, Di Natale corre e si indiavola ma non concretizza.

Spero naturalmente che l'Italia (ci) sorprenda, e faccia sempre partite incredibili a cominciare dalla prossima contro la Slovacchia. Ma i fatti finora sono questi. E dicono tutt'altro.

martedì 15 giugno 2010

Italia-Paraguay? Semmai Italia-Passaguay...

In un tripudio di onnipresenti vuvuzela (che iniziano a rompere altro a parte i timpani), ieri c'è stato il debutto della nazionale italiana. Ed ecco le frasi più ripetute durante la partita:

  • "Sopprimete Cannavaro!" - frase urlata in particolare quando il capitano ha dato ulteriore dimostrazione di esser pronto per gli Emirati Arabi tentando invano di fare un colpo di tacco "alla Ibrahimovic". E non è che l'Italia stesse vincendo 3-0.
  • "Montolivo è brav, ma n'adda tirà!" - praticamente ripetuta dopo ogni tentativo balistico del suddetto Montolivo. Ci si consolava poi pensando alla sua deliziosa consorte.
  • "L'Italia nun pò jucà cu na sola punta annanz!" - esclamata dopo le varie volte che era stato inquadrato Gilardino contare i fili d'erba in attesa di un pallone giocabile
  • "De Rossi è in berserk!" - bastava guardarlo. O meglio, bastava notare come togliesse i palloni dai piedi degli avversari solo con lo sguardo.
  • "Date una katana a Camoranesi" (proposta dal buon Francesco collegato via internet) - scaturita dalla nota legge matematica: "Ad ogni prima ammonizione che Camoranesi si becca, per il restante tempo della partita il suddetto Camoranesi cercherà in tutti i modi di farsi espellere"

domenica 13 giugno 2010

Va' Mameli...

Zaia sostituisce l'inno di Mameli col "Va pensiero" all'inaugurazione di una scuola a Treviso.

Probabilmente l'avranno imparata a memoria a scuola, e piuttosto che imparare l'inno di Mameli, che è paradossalmente più facile contenendo più ripetizioni delle stesse parole...tra l'altro, se riesce di impararlo, seppur a stento, ai calciatori (quando non ne travisano le parole pensando di essere spiritosi)...

Se telecomando...

Dall'articolo del Corriere:

«C'è una comunicazione che considero del tutto impossibile nei pollai allestiti in alcune trasmissioni dove si fa solo diffamazione e disinformazione a vantaggio di una stessa parte politica che è la sinistra» ha detto il premier, rispondendo a chi gli chiedeva perché non pensasse a tornare in tv.

Su questo ha ragione. Gli ospiti del suo partito dovrebbero essere più educati, quando vanno in onda. Ma poi finirebbero per far capire ciò che dice il loro interlocutore.


«La sinistra continua a ripetere come un mantra che il presidente del Consiglio controlla tutte le televisioni», ma in Rai «tutti i talk show tranne uno sono contro il premier e il governo» ha aggiunto Berlusconi, citando «validissimi professionisti come Michele Santoro, Giovanni Floris o Gad Lerner, che però - è l'affondo del presidente del Consiglio - con i loro talk show finiscono sempre con il fare un tipo di informazione di tipo esclusivamente ideologico». Quanto a Mediaset, il capo del governo ritiene che, a parte Emilio Fede «l'ultimo dei Mohicani che fa il tifo per me», tutte le altre trasmissioni sono assolutamente «super partes».

Non ricordavo che sul contratto di servizio della Rai fosse scritto che deve obbligatoriamente essere filo-governativa. E poi mi chiedo chi sia quell'unico strenuo sostenitore del premier: Minzolini o Vespa? Ma visto che parla di talk-show sono quasi certo si rivolga al primo.

(Certo, le trasmissioni delle reti di cui è presidente sono super-partes. E' come dire che gli esponenti della maggioranza sono liberi di criticare il proprio governo. Vedi alla voce "Fini". Vedi anche alla voce "Italo Bocchino")

Ma ripensandoci, ha ragione: sono super-partes. Nel senso che non si occupano proprio di informazione. Vedi alla voce "Studio Aperto". L'affermazione su Fede è commovente, lo ammetto. Ma mai quanto la sua risposta:


«È in un certo senso un'affermazione che mi mette malinconia - ha replciato il diretto del Tg4 - in quanto essere l'unico non mi piace, perché è una vita che faccio il giornalista. Sarebbe più bello che in Italia si tornasse fare un tipo di informazione diversa, meno faziosa. Vorrei che i professionisti tornassero a fare quello che se vogliono sanno fare meglio e non limitarsi a dare giudizi o emettere sentenze solo ed esclusivamente a danno del premier e del suo governo» ha spiegato Fede.

Ahhh, l'amour. E ha ragione, sarebbe bello se anche i professionisti del giornalismo potessero fare il proprio lavoro. Come Fede fa il suo.

sabato 12 giugno 2010

Lotta dura, con molta paura.

Bersani dichiara che alla Camera il PD combatterà strenuamente contro il ddl "bavaglio" sulle intercettazioni.

Se combatteranno come al Senato, sarebbe più opportuno parlare di ritirata, più o meno strategica che sia.

Update Dichiarazione di Bersani delle 17.50: "La Costituzione non è emendabile a capocchia". Ecco l'opposizione dura cui faceva riferimento.

giovedì 10 giugno 2010

Di getto - parte 5

Mi alzai da terra, dove mi ero accasciato. Quella oasi improvvisata d'ombra si era rivelata provvidenziale, salvandomi da...non so tuttora definirlo. Delirio, sparizione, annichilimento. Sorrisi tra me e me pensando che l' "oscurità" mi aveva "salvato".

Mi detti una sistemata, e sentii qualcosa nel taschino: era un foglio di carta. La grafia era familiare, probabile fosse la mia. Su di esso era appuntato solo un indirizzo, probabilmente era dove stavo andando col mio peregrinare. Lessi mentalmente a voce alta: "Via Sebastiano 15, 8° piano". Alzai lo sguardo come per cercare di orientarmi. Fu un gesto istintivo. Scopriì che non ero molto distante. "Curioso, visto che finora ho camminato senza una meta precisa", pensai.

Arrivato al portone, mi guardai intorno cercando di riconoscere la zona. Niente mi sembrava particolarmente familiare: i muri dei palazzi attorno rovinati dal tempo e dalla non curanza, imbrattati da graffiti sovrapposti che formavano a loro volta un ulteriore graffito; qualche saracinesca abbassata e dall'aria particolarmente vissuta. Sentii un 'clack' metallico: una persona stava uscendo proprio dal "mio" palazzo. Istintivamente approfittai subito dell'occasione per entrare. Non so se mi avesse notato, ma in fondo non me ne importava poi realmente.

Davanti a me c'era una distesa di scale, bianche, marmoree, e un piccolo ascensore scuro, con su il cartello "Guasto". Non persi tempo a lamentarmi, e mi incamminai lungo le scale, senza pensare al fatto che fossero ben 8 piani da fare. Durante la salita non potevo fare a meno di ripensare a tutto ciò che mi era successo dal momento in cui mi ero svegliato: quella sensazione di straniamento che mi aveva accompagnato, le successive azioni di routine svolte quasi meccanicamente, la traversata della "luce". E quella sensazione interiore, che sembravo aver ritrovato, di "sapere cosa fare", con una convinzione interiore. Quello che era stata la mia debolezza fino a poco fa e che, probabilmente, poteva costarmi cara, ora mi aveva reso per quanto possibile più lucido, più cosciente. Chiedersi in quale realtà fossi, tentare di dare un senso a ciò che mi circondava, erano tutte cose superflue. Nella mia condizione ero ben al di là di quei concetti. Luce, ombra, dubbio, certezza, tutto superato, tutto sullo sfondo, sfocato. Con ogni gradino sembrava acquisissi maggiore consapevolezza, come se cambiassi pelle.

Arrivai all'8° piano. Bussai. Vidi la luce dallo spioncino, c'era effettivamente qualcuno. Mi aprii lentamente la porta, dalla quale una flebile voce disse "Era ora. Entra pure.". Feci come mi disse. Poi mi voltai e aspettai che avesse richiuso la porta. Fu in quel momento che accadde.

sabato 5 giugno 2010

E' tempo di Mondiali...

Ogni 4 anni (o 2 considerando anche gli Europei) puntualmente la nazionale italiana di calcio arriva alla suddetta competizione internazionale contando vari morti e feriti. 4 anni fa nessuno immaginava il successo della compagine azzurra all'inizio della manifestazione, viste le varie polemiche interne ed esterne alla nazionale (vd. Calciopoli che infuriava in pieno). 2 anni fa non lo immaginavo a cominciare dalla scelta dell'allenatore (Donadoni, più esperto di golf che di calcio a mio giudizio), e i risultati si sono poi visti.
E' stato pertanto richiamato a gran voce Lippi quale "salvatore della patria": peccato che la patria in questione sia invecchiata di 4 anni e nessuno sembra essersene accorto, a parte i giornalisti che a mò di bollettino medico ogni giorno parlano di acciacchi di questo o quel giocatore dell'Italia (ultimo in ordine di tempo Pirlo).
La costante è sempre la stessa: facciamo ridere i polli. Un campionato dove la squadra vincitrice da svariati anni è costituita per 10/11 (dipende se gioca o meno Materazzi) da giocatori stranieri si merita una nazionale fatta di cariatidi e di giovani interessanti ma con ancora poca esperienza, capace persino di far sembrare i giocatori messicani il Brasile. E considerato che il girone è formato da formazioni quali Nuova Zelanda o Slovacchia, se tanto mi da tanto ne vedremo delle "belle" fin dall'inizio.

martedì 18 maggio 2010

Intermezzo. O prologo.

Tempo strano, clima incerto. Troppi pensieri nella mia testa. E' come quasi se non ce ne fosse nessuno: tutti sparsi come biglie che rotolano nel buio liscio della mia mente. Al suo interno il loro rotolare, il loro vociare confuso figlio del periodo, è il sottofondo imperante delle mie giornate. In una situazione del genere, o si ha un'aria facilmente riconoscibile ed etichettabile dall'esterno, il che molto spesso equivale all'emarginazione sociale, oppure bisogna imparare sul campo ad essere bravi attori, a rappresentare "normalità" nel caos avvolgente, forse anche per convincersi di essere ancora sul palco, di essere un ingranaggio ancora funzionale al sistema, di essere ancora utili alla massa di pelle, ossa e cartilagine che ci appare allo specchio.
Alzo lo sguardo. Sono circondato da mura fatte d'acqua (cit.), come in un quadro surrealista o in un gioco di escapologia. Mi avvicino, immergo con timore prima un dito, poi la mano, e poi il braccio intero. Muovendomi in quello specchio d'acqua che ora riflette la mia immagine distorta, cercando un appiglio, provando ad afferrare qualcosa che non sia acqua. Tentativi vani. Immergo anche la spalla, per allungare di più il braccio. Sfioro una superficie, sembra liscia e fredda al tatto, più che l'acqua che mi circonda.
Riprovo su un altro muro d'acqua. E su un altro. Finché non li ho tastati tutti. Tutti col medesimo risultato: non c'è apparente via di fuga. Mi ripeto "C'è sempre una via d'uscita", ma in quel momento non sto ascoltando. Se chiudo gli occhi osservo la scena dal di fuori, allontanandomi verso l'alto come per una ripresa panoramica: sono seduto con le gambe incrociate, come in meditazione, le braccia conserte poggiate sulle gambe, la testa china su di me, a mò di inutile emblema di un potenziale inespresso.
Il gioco dei "Se..." non porterà lontano, lo so, ma in questo momento non posso fare a meno di pensare che forse, se qualcosa fosse andata diversamente, se qualcosa nel novero delle infinite possibilità diverse che avessi avuto a disposizione analizzandole a mente fredda, fosse stata alla mia portata in quel momento, forse non mi troverei qui. O forse avrei la forza di reagire con maggiore decisione. Forse non starei neppure pensando queste cose. Mi sembra di vederlo, l'altro Io in questo stesso frangente: in piedi, starebbe pensando ad un modo per uscire da qui, anzi forse l'ha già pensato e messo in pratica. E si guarderebbe indietro, come per guardare un'ultima volta alla situazione impossibile che l'ha visto protagonista, interprete ed attore principale.
Ma come dicevo è un gioco per tenere impegnata la mente, e nulla più. Vacue fantasie utili solo per alimentare ciò che mi blocca. E' un inganno continuo, come una coppia di serpenti che divora l'una la coda dell'altro. Ouroboros. E la cosa funziona particolarmente bene a quanto pare.
Mi rialzo in piedi, non so bene il perché. Forse per cercare una via di fuga, imitando la visione avuta poco fa, o forse solo per darmi l'impressione di star facendo qualcosa.
Un 'clack' metallico, un istante. Volgo lo sguardo. Il bianco mi avvolge. Dissolvenza...

martedì 4 maggio 2010

Di getto - parte 4

La prima cosa che avvertii una volta uscito da quelle consumate colonne d'Ercole di cemento fu il calore. Uscito dalla penombra, se fino a poco prima mi sentivo come sospeso in un protetto e sicuro nulla, i raggi del sole risvegliarono i miei sensi, riportandomi ad una viva realtà. Certo, l'ambiente circostante era piuttosto monotematico, fatto essenzialmente da palazzi a tinte tenui, qualche auto e apparentemente poche pigre persone che si facevano strada nella calda luce. Ma rispetto a prima, mi sembrò un piacevole miglioramento. Un altro colpo di vento mi attraversò il volto, stavolta più dolcemente. Iniziai a pensare che la calda luce forse aveva addolcito anche il vento.

Proseguii il mio cammino, immergendomi anch'io nella luce che sembrava avvolgere tutto in quel contesto. Anche le persone, era come se nuotassero nella luce, e questa in cambio addolciva i contorni, ne uniformava i movimenti, i gesti. Per un attimo, guardandomi attorno, mi sembrò di essere in una sorta di opera d'arte in movimento: tutto si muoveva armoniosamente nella luce, senza interruzioni, senza irregolarità. Un ordine talmente perfetto da sembrare surreale. E io, immerso a mia volta con il resto, contribuivo a quella "perfezione dinamica". Uno tra tanti. "Esattamente come avevo pensato prima. Buffo." pensai tra me e me.

Voltai l'angolo e lo scenario non cambiò: palazzi, auto, qualche persona, il tutto immerso in una calda, viva luce. Il movimento perfetto era ancora lì, in corso, come in un film che hai visto tante volte e del quale conosci persino le pause tra una frase e l'altra, il rumore di fondo tra un gesto e l'altro. Forse proprio per questa aura di perfezione, paradossalmente, il contesto mi sembrava sempre più reale man mano che avanzavo. Sul muro accanto a me notai alcuni manifesti strappati, parte di essi ormai penzoloni lungo il muro, in balìa del vento. Il vento caldo in quella illuminazione calda.

Dopo un pò che camminavo, ebbi la sensazione che anche l'aria fosse più rarefatta, come se il calore circostante la consumasse man mano che proseguivo. Sbattei le palpebre più velocemente, come per mettere a fuoco, evitando che quanto c'era intorno a me sfuggisse di nuovo, per rimanere aggrappato a quella realtà. Non per questo smisi di camminare, no. Solo che questa aria rarefatta aveva ammorbidito anche i miei stessi passi: il mio incedere era meno deciso, meno armonioso, meno speranzoso. Il perfetto meccanismo iniziava ad incepparsi, e al centro dell'attenzione c'ero io.

Ormai più andavo avanti nella luce, più questa si faceva sempre più forte, e allo stesso tempo le certezze che avevo accumulato fino a quel momento tornavano a dissiparsi. Avevo la sensazione di essere osservato dagli altri componenti del perfetto meccanismo, incuriositi da questa variazione nella loro opera d'arte dinamica, alcuni persino sdegnati. Immaginavo di rivolgermi a loro, come scusandomi per aver rovinato tutto attirando l'attenzione con la mia imperfezione, pregandoli di andare avanti lo stesso, come se non ci fossi. Ma in un'opera di perfezione ciò che risalta maggiormente è un difetto, più impercettibile è e più esso risalta per quanto possa essere perfetta l'opera.

Raggiunsi una zona d'ombra, vicino un portone. Sentii le mie pupille ridiventare appuntite come spilli. I miei contorni si erano fatti di nuovo nitidi, delineati. Alzai lo sguardo: il meccanismo perfetto era ancora lì. Non avevo più dubbi: sapevo cosa fare.

domenica 7 febbraio 2010

Di getto - parte 3

Apriì l'armadio vicino al letto, cercando qualcosa da indossare. Lo sguardo mi cadde su un paio di abiti scuri, appoggiati poco distante da una serie di cravatte ordinate per gradazione di colore. Pensai che non era il caso di indossare quel genere di abiti: non sapevo dove ero diretto o chi avrei incontrato o cosa avrei fatto. E quello invece sembrava il genere di abito di chi invece sa esattamente cosa fare, dove andare e chi vedere, come una sorta di corazza anti-insicurezze, priva di dubbi. In un altro armadio trovai alcune paia di jeans, magliette e camicie. "Vestiti da perfetto signor 'uomo qualunque.' Questi andranno bene", pensai.

Apriì la finestra per avvertire che aria tirava fuori. Non volevo rischiare di finire assiderato o di dovermi sciogliere appena messo piede fuori da lì. Il chiarore che penetrava da fuori contrastava con le zone buie della stanza, creando un effetto penombra da film noir. "Se fossi effettivamente in un noir, dovrei indossare un abito e una cravatta. A meno che non debba interpretare una semplice comparsa" dissi tra me e me.

Vestito per ciò che mi sembrava consono all'habitat esterno, mi decisi ad uscire di casa. Non sapevo ancora la destinazione, almeno consciamente, ma sentivo che dovevo farlo. Mi avviai verso l'uscio e presi meccanicamente le chiavi che erano nel posacenere lì vicino.
Scesi le scale con calma, osservando le varie scalanature nella ringhiera di ferro nera. Tastai con le dita della mano la sua fredda presenza, e il suo tocco gelido fu una sensazione piacevole a contatto col tepore delle mie dita. Mi avvicinai al portone, e nel tempo del rumore di uno scatto metallico fui fuori da quella che finora era stata la mia prigione. La mia accogliente prigione tra sogno e realtà.

Lì per lì, l'impatto con il mondo esterno mi fece dimenticare per un attimo questo che finora era stato il mio dilemma principale, il mio tormento, mentre ero sospeso in una sorta di limbo. E mi sollevò dalla strana sensazione di sapere inconsciamente dove andare, ma di stare vagando a vuoto a livello razionale. Sensazione che la telefonata ricevuta prima non aveva affatto calmato, anzi.

La prima cosa che mi colpì una volta uscito dal palazzo fu il colore del cielo: un azzurro sorprendentemente smorto, quasi grigio. Non che mi immaginassi un cielo con un colore diverso. Probabilmente anche il cielo come me stava interrogandosi se esistesse davvero o se quel colore fosse un parto di un sogno. Mi incamminai lungo lo stretto viale che poi portava verso la strada principale. I palazzi di contorno sembrava facessero da colonne d'Ercole tra l'illusoria, rarefatta zona di prigionia dove ero stato fino a questo momento, e il resto del mondo. L'attraversamento del viale sembrava impiegare ore.

Mentre ero assorto nei miei pensieri tra un passo e l'altro, un rumore attirò la mia attenzione. Una moto si stava avvicinando lungo la strada a lato del marciapiede. Nonostante la distanza, riusciì a percepire il suo colore rosso vivo. Sembrava una punta di anomala vivacità nel rassicurante grigiore che mi circondava. Sarà l'effetto di essere lo stretto viale, ma osservando il motorino mentre mi passava di lato ebbi quasi la sensazione che il tempo percepito in quella ristretta zona fosse come rallentato: potevo notare le varie scritte sulla carrozzeria del mezzo, le pieghe dei jeans e del giaccone di pelle del guidatore. Il casco era anch'esso di colore rosso, come fosse un tutt'uno con il resto del mezzo e busto e gambe fossero solo una sorta di collegamento tra testa e ruote di quello strano essere.

domenica 31 gennaio 2010

Danzando pacchianamente tra montagne volanti - parte 2

(ossia la recensione del secondo degli ultimi due film visti. La prima parte è qui)

E dopo la prima parte, parliamo di...Nine, Rob Marshall, 2009

Rob Marshall e il musical. Una relazione professionale che, se nei musical tradizionali a teatro ha reso piuttosto bene, nella prova precedente sul grande schermo di Chicago ha dato frutti discreti, per quanto ben lontani da film che hanno riportato con maggiore successo (o clamore) il musical sullo schermo cinematografò (cit.), come ad esempio Moulin Rouge, Mamma Mia! (ma quante cose sa fare bene Meryl Streep? Mioddio...) o quello con John Travolta di cui non ricordo il nome Hairspray.

Quindi questa suonava un pò come la prova del nove: cast importante, storia importante, battage pubblicitario importante. Tant'è vero che prima della diffusione nelle sale si vociferava di svariate nomination ai Golden Globes se non addirittura agli Oscar. Poi, purtroppo per loro, il film è uscito nelle sale. E il panorama è decisamente cambiato. Versione breve: non si punta più neppure alle candidature agli Oscar.

Il musical cui è ispirato, dal titolo omonimo, è un omaggio-barra-reinterpretazione di Otto e mezzo di Fellini. Omaggio credo inteso sia al film, sia a Fellini. Solo che mentre Otto e mezzo è un film, questo è lo stesso film però in versione Disney, ossia con una canzone ogni 5-10 minuti. (Mi viene in mente il film di South Park, dove per paraculare i film animati Disney, c'è realmente una (bella) canzone non-sense ogni 5 minuti!)

E la trasposizione canora non è che sia venuta questo granché bene. Si è scelto di puntare su un cast internazionale di grandi nomi per avere un maggior richiamo al botteghino più che su qualche interprete di musical più o meno famoso, quindi dal punto di vista delle prestazioni canore-ballerine parliamo di attori prestati al genere. Come d'altronde è stato anche per gli altri musical cinematografici. Poiché il musical è costruito in modo che ciascuna delle star presenti abbia almeno un pezzo cantato e ballato, cercherò di analizzarle individualmente.

Daniel Day-Lewis nella parte che fu di Mastroianni fa un lavoro egregio, anche perché ha più parti puramente recitative quindi "fa ciò che fa di solito". Forse giusto gigioneggia un pò a volte, rendendo il suo personaggio ad esempio troppo nevrotico più che insicuro.
Sugli scudi anche Marionne Cotillard, davvero impressionante come bravura sia nelle fasi recitative (ma non è una cosa che si scopre ora) che in quelle musicali. E si, la adoro.
Judi Dench ci mette del suo, anche nella parte canora, ma complice la bruttezza del pezzo non mi ha preso quanto mi aspettassi.
Penélope Cruz (Premessa: inutile negarlo, è una delle preferite del sottoscritto, sia come donna che come attrice.) come recitazione fa il suo compitino senza infamia e senza lode. E ciò associato a lei vuol dire "non va bene". Nelle parte canora risulta più comica che seducente (su tutto un "coochie-coochie-co" da brividi). E la voce che le han dato nella versione nostrana c'entra poco o nulla col personaggio, rendendolo ancora più irritante (la doppiatrice di Phoebe di Friends).
Sua maestà Sofia: partendo dal fatto che già nel trailer la scena di lei che appare a mò di "visione mistica della Madonna" aveva scatenato un mix di risate incontrollate e sbigottimento una volta realizzato che invece la cosa era seria. Avevo l'impressione che l'avessero presa principalmente perché facesse da richiamo forte al Cinema con la C maiuscola italiano, più che magari per doti recitative o canore particolari richieste per quella parte. Vederla recitare (sulla parte canora diciamo che han cercato di non infierire più di tanto, sfortunatamente senza riuscirci) in effetti conferma questa impressione.
Fergie dei Black Eyed Peas (ma a quanto ho capito ora ha una carriera da solista. Bah.) ovviamente canta bene, facendo quello come mestiere sarebbe stato strano il contrario, anche se il suo pezzo è allucinante (ne parlerò meglio dopo). Per la recitazione, diciamo che si esprime bene col corpo, anche data una certa "incarnazione" rispetto ad altre apparizioni.
Nicole Kidman ha un ruolo etereo nel film. E pertanto si comporta come tale. Non pervenuta.
Kate Hudson è semplicemente inutile e il suo pezzo canoro è inutile tanto quanto il suo personaggio.

Ma la "genialata" dei realizzatori è stata quella di farcire il film di vari attori italiani più o meno noti, più o meno bravi, mettendoli in ruoli di secondo piano, per dare forse al pubblico 'merigano l'idea di essere ancora più in Italia. O comunque per dare un'idea del cinema odierno italiano, a mò di omaggio nell'omaggio. Secondo loro.
Passi Ricky Tognazzi che fa sé stesso come in tutti i film e i vari spot. Passino anche un irriconoscibile Elio Germano o Valerio Mastandrea che cerca di non recitare da Mastandrea. Ma Martina Stella? Perché?
E per chi avesse da ridire sulla mia domanda, ricordo che QUESTA è Martina Stella.

Ma poi, la cosa che maggiormente traspare dal filmusical è "pacchianeria". Che tra l'altro è un ottimo modo per riassumere il film in una parola. Perché pretendere di fare un film ispirato al musical ispirato a sua volta ad uno dei nostri film più apprezzati all'estero è sbruffoneria, oltreché pacchianeria. Perché vedere Sofia in quelle condizioni (ma perché alla sua veneranda età ci tiene ancora a mettere le tettone flosce in mostra? Che vuole, mettersi a rivaleggiare con le attrici attuali?) e sentirla intonare un allucinante "Ti ho voluto tanto bene" in una specie di italiano-puzzulano-mmerigano non è omaggiare il Cinema italiano dell'epoca, bensì è metterlo alla berlina in maniera pacchiana. Perché una canzone - quella di Fergie - il cui titolo è "Be Italian" e il cui testo in pratica dice che per "essere italiani" basta provarci con una donna dicendole "Ti voglio bene" e poi facendo avances sessuali, oltre che qualunquista e di dubbio gusto, è pacchiana. Senza appelli sulla "giocosità" del tutto.

(Nota: naturalmente la FIAT non si è fatta sfuggire l'occasione e l'ha subito posta come colonna sonora dei suoi spot. E poi ci si chiede perché invece di concentrarsi su nuove auto, ad esempio, fa storie per avere gli incentivi statali per tirare a campare.)

In definitiva: è un carrozzone musicale. E' pacchiano. E' costato un botto di soldi (si parla di 64 milioni di euro), e ne ha incassato a stento un decimo. Probabilmente piacerà molto a chi adora il musical, a chi basta sentirsi ripetere "Be italian" per inorgoglirsi senza andare un attimo ad approfondire il discorso, e ai dirigenti Fiat.

Il mio giudizio? A parte l'ennesimo "pacchiano", è "Mah, 'nzòmm".

sabato 30 gennaio 2010

Danzando pacchianamente tra montagne volanti - parte 1

(ovvero due recensioni sugli ultimi due film visti)

Cominciamo con... Avatar, di James Cameron, 2009

Film iper strombazzato (il che ha attivato il mio istinto filmofilo per una potenziale cazzata) per la rivoluzionaria tecnica utilizzata durante le riprese (un misto di motion capture e computer grafica girato con una sorta di "telecamere stereo". E aggiungerei "con posterdati come fosse antani per due ma soltanto in quattro").

Analizzando il film per ciò che è, in sostanza si rivela la fiera delle citazioni, come evidenziato più in dettaglio qui, a cominciare da tutti i lavori di Cameron (e sapendo quanto sia leggerissimamente esaltato non meraviglia. Per quanto, vista la sua filmografia di successo, ne ha pure ben donde ad esserlo. Tra l'altro ho trovato geniale la citazione da Titanic), finendo poi per "prendere (MOLTO) spunto" da vari film che hanno principalmente a che fare con l'incontro-scontro tra due razze diverse, iniziando con Pocahontas (c'è anche un simpatico meme in giro per internet a riguardo) e finendo con Balla coi Lupi (i geniali Matt Stone e Trey Parker, gli autori di South Park, non per nulla l'hanno parodiato in una delle ultime puntate trasmesse negli States, chiamandolo "Balla coi Puffi").

Quindi la storia è piuttosto esile? Si. E' inutile girarci intorno parlando di "conoscenza dell'uomo", di "analisi dei personaggi" e quant'altro. Se uno ha un minimo di conoscenza del cinema, può anticipare i vari colpi di scena. Il che non è propriamente bello, avendo anche speso un biglietto maggiorato per andare a vederlo.

Ma uno va a vederlo anche, o principalmente come nel mio caso, per ammirare questa rivoluzionaria tecnologia utilizzata. Che sia diversa dal 3D utilizzato finora in questo revamp dell'uso del 3D, è certo. Spiegazione pratica: invece di avere l'effetto "libro animato per bimbi", con varie figure sagomate che si muovono a profondità diverse, si ha una commistione dei vari piani di profondità (vd. parallasse) molto molto migliore, il che dà effettivamente una resa di profondità e penetrazione superiore ad altre produzioni (dove l'effetto principale era "roba che esce dallo schermo e ti arriva addosso").
Spiegazione nerd: il 3D "tradizionale" è Doom, se guardando un nemico ruotate su voi stessi notate che il nemico è una sagoma bidimensionale; il 3D di Cameron è Quake, ruotando su voi stessi vedete che i nemici sono anch'essi in 3D e quindi ne consegue una sensazione di realismo maggiore.

(Nota di intermezzo: questa storia della nuova sensazione di profondità percepita, unita alle varie trovate pubblicitarie per far parlare del film, tipo l'accusa di plagio da un cartoon sconosciuto, o le sindromi delusionali e depressivi dopo la visione del film per non essere più sul pianeta Pandora, ha di fatto creato il leit-motiv utilizzato prima, durante e dopo la visione del film da me e dai compagni cinefili: "Com'è profondo!")

E' un dato di fatto che l'industria del cinema abbia intrapreso questa nuova-vecchia strada del 3D da tempo, affiancandola anche a molte produzioni di valore (mi viene in mente l'ottimo Coraline) che potrebbero essere girate tranquillamente in 2D. E questo Avatar non fa eccezione. Perché si fa ciò? Per due motivi: l'industria del cinema è un pò in crisi d'idee, partendo da premesse dubbie per tentare qualcosa di nuovo (il film sul "Monopoli"?! Il film su "Battaglia Navale"?! Il film su FACEBOOK?) o producendo svariati remake-trattino-reboot di franchise diventati di culto (i recenti remake di Texas Chainsaw Massacre, Halloween e quelli prossimi di RoboCop (brrr), La Cosa (senza Carpenter! Ma scherziamo?) o A Nightmare on Elm Street (interessante la scelta di Rorschach per sostituire Robert Englund)). Quindi, in un periodo di crisi economica, c'è bisogno di uscirsene con "qualcosa" che renda l'esperienza di un film visto al cinema irripetibile in altri contesti, per es. a casa. Ossia prendere una tecnologia vecchia e non perfettamente funzionante (il 3D originale generava mal di testa dopo un pò che si indossavano gli occhiali) e ottimizzarla alla luce delle scoperte scientifiche e tecnologiche degli ultimi 20 anni. Poi è chiaro che Cameron, "perché è Cameron", abbia dovuto metterci del suo (per i compartenopei, leggasi "Cameron adda semp' mettere a'copp").

Conclusione, il film è una ciofeca? No. La storia, per quanto "molto già vista", risulta comunque solida ed efficace nel rendere il film seguibile senza cali di noia. Il che con 2 ore e 40 di girato, durata standard di quasi tutti film di JC, non è da tutti. E' da andare a vedere? Si. Perché, a meno che lo sviluppo di supporti e televisori per il 3D non sarà una cosa rapida ed economica, il film visto su dvd perderà una delle cose principali che lo rendono appetibile (se non ci credete, vedete i vari trailer in giro per la rete. In 2D sembra un film qualsiasi). Molto probabilmente vincerà anche una carrettata di Oscar, tra cui si vocifera quello per Miglior Attrice a Zoe Saldana (che recita solo nei panni di aliena, quindi sarebbe una novità per l'Academy premiare un artista per un lavoro di recitazione "mascherato" dall'uso del computer) in parte grazie anche ai vari record di incassi battuti (tra cui l'osannato Il Cavaliere Oscuro). Ma per i miei parametri non me la sento di chiamare "capolavoro" un remake in HD con efficaci tecnologie innovative di Balla coi Lupi con un pò di Pocahontas.

venerdì 22 gennaio 2010

Ancora di getto...

Mi spostai in cucina. Il senso di appannamento che mi permeava non accennava a diminuirsi, anzi i rumori familiari mi tenevano ancorato a quella che sembrava la realtà, almeno per ora. Lo scrosciare dell'acqua dal rubinetto, il borbottio della caffettiera. Decisi di fare una prova del nove, accendendo la televisione. Mentre mi versavo il caffè in una tazza, osservavo il gioco di macchie che il televisore mi stava mostrando. Come due eserciti contrapposti in una furiosa battaglia che non vedrà vincitore nessuno dei due.
Il televisore si spense con un rumore sordo lasciando come eredità della sua recente accensione un puntino centrale nel nulla dello schermo. Sembrava mi stesse osservando, mentre finivo di sorseggiare il caffè bollente.
La luce filtrava timidamente dalle finestre della cucina, donando un'aria confusa e rarefatta a tutto il resto. Più mi guardavo intorno e più sembrava fossi in un quadro vivente di Dalì o di Escher.

mercoledì 20 gennaio 2010

Di getto

Mi svegliai da un lungo sonno senza sogni. Erano passate poche ore, ma mi sentivo intorpidito come se fossi stato in quella posizione per giorni, o forse settimane. Guardai l'orario, erano le 3:33. "Curioso", pensai tra me e me, in quello stato di dormiveglia dove ogni cosa sembra avere un senso, dove tutto è ovattato, e tutto ci sembra bello e perfetto. Dove i nostri sensi sono completamente appagati, non fame, non sete, non felicità, non sofferenza. Un dolce richiamo verso il nulla, verso l'oblio creato dal sonno, dai nostri vuoti sogni.
Mi rigirai tra le coperte, in quel momento non avrei saputo dire in quale verso mi trovassi, da quale lato del letto o in quale stanza, paese o continente mi trovassi. Potevo essere ovunque e in qualunque altro letto di qualsiasi altra camera. Rumore di un motore fuori dalla finestra, che sfreccia squarciando il silenzio della notte. Ma a me sempre più proteso verso l'auto annullamento, sembra solo un ronzio che accompagna quello dell'orologio e della televisione dall'altro lato della stanza. Se sono ancora lì e non sono invece frutto della mia fantasia.
Mi svegliai successivamente un pò dopo, o molto dopo, non saprei dirlo. La mente era ancora annebbiata, permeata dal nulla notturno perché riuscissi a percepire che ore erano e quanto tempo era passato dalla volta precedente. Non saprei neppure dire se fosse stata solo un sogno, o se mi fossi davvero svegliato in precedenza.
In quel momento sento un ronzio, poi un altro, e poi una musichetta. Rispondo al cellulare, senza vedere il numero. Lentamente immagino sia qualche altra inutile offerta, e preparo le frasi di circostanza per salutare quel benvenuto scocciatore mattutino con garbo. Invece sento una voce familiare, senza riuscire ad assegnarle un volto ben definito. "Sai che ore sono?", mi dice. E mentre cerco di associare voce a volto, tossisco. "Non hai molto tempo", mi avvisa, "sanno che ti sto telefonando. Ti ricordi che devi fare quella cosa?".