mercoledì 16 ottobre 2013

de Amore: liberi pensieri, detti (poco) comuni ed elucubrazioni fine a sé stesse in un libero post



Non so molto dell'amore.

Lo so, è una espressione banale. Ma è la verità. Ne so quanto ne hanno trattato diversi autori nel corso dei secoli, sapientemente riassunti e commercializzati da una nota casa dolciaria. Ne so quanto mi hanno insegnato anni di film, telefilm, cartoni animati di rapporti sentimentali "coi problemi" (E' quasi magia, Johnny! ce l'ho proprio con te). Ne so quanto ho potuto raccogliere da vari racconti e testimonianze indirette e (fugacemente) dirette. Quindi non ne so molto.

Quel poco che ne so, poi, conferma il fatto che non ci sia molto da sapere. Il problema, volendolo affrontare empiricamente, è che si cerca di dare connotazione razionale ad un qualcosa che non ha connotazione razionale. Non completamente almeno: ormoni, feromoni, chimica, dna, giù giù fino a trascendere in espressioni come vite passate, anima gemella, ecc. Così come altre definizioni usate per aiutare a comprenderlo: voler bene a qualcuno, prendersi cura di qualcuno, voler stare con qualcuno, non rendono completamente l'idea in maniera assoluta, proprio perché è un "oggetto" sfuggente a qualsiasi definizione.

Quando penso che definizione darei alla parola "amore", uno dei ricordi più vividi è di un monologo. Anni fa, in epoca pre-internet, ero davanti alla tivù, su Rai Due. C'era uno spettacolo in seconda serata: protagonista un divano, con su due persone famose che parlavano a ruota libera, o almeno era quello che il programma prometteva, per una ventina di minuti. Ogni puntata un paio di coppie, non rivelate fino alla messa in onda (ricordo: epoca pre-internet). Il divertimento era vedere come interagivano tra loro persone appartenenti a mondi diversi, per esperienze, crescita e anche credo religioso. Un cantante pop e uno scrittore potevano mettersi a parlare di cucina, e scoprire cose in comune, in una specie di divertissement cazzaro a poco prezzo. Ma mi sto dilungando.

Una sera, in uno di questi sketch c'era Rocco Papaleo. Ben lontano dai fasti (?) sanremesi e dall'umorismo finto-caserma che lo ha contraddistinto di recente. Non ricordo chi fosse l'altra persona, forse non era importante. Quello che ricordo è di cosa si parlava: di amore.

(Disclaimer: non ho una memoria eidetica, pertanto quello che segue è una libera reinterpretazione, con, innegabilmente, diversa farina del mio sacco.)

"Io amo le donne", esordì Papaleo. "Al di là di facili battute, le amo. Hanno le voci un po' più dolci degli uomini, o più buffe. Sono morbide da abbracciare. Sono rassicuranti, sono incoraggianti: sono capaci di farci e disfarci con la loro sola silenziosa presenza."

"Però, a volte si dice che siano loro il problema. In realtà dopo tutti questi anni, solo di recente ho capito che il problema spesso non sono loro: molto spesso è il modo con cui ci rapportiamo a loro. Il modo con cui proviamo a reagire alla loro presenza. Non è un modo unico di sbagliare, ognuno sbaglia come più gli aggrada."

"Io, ad esempio, quando mi piace qualcuna non riesco a nasconderlo. So di persone, presunti "esperti" della materia, che inorridirebbero o mi prenderebbero in giro per questa cosa. Probabilmente direbbero che è un difetto, e forse lo è: non puoi sempre giocare a carte scoperte, specie se il gioco non ne prevede. Ma quando mi innamoro di qualcuna è un piccolo evento nella mia vita: e voglio festeggiare questo piccolo evento. Voglio condividere il benessere che l'innamoramento mi porta, voglio esternarlo, soprattutto a chi mi sta vicino. Vorrei poter dire "Eccola lì, la felicità! Guardate, non arrendetevi! La, o, meglio, UNA felicità, è lì, vicino; troppo vicino perché forse sia raccoglibile da tutti. Ma è lì, silenziosa. Come una donna, per l'appunto."

"Il punto è che questa gioia acquisita, seppur effimera, è facilmente malvista, è giudicata inopportuna. Quasi con fastidio. Molto spesso, poi, dalla stessa persona che, magari inconsapevolmente, ci ha donato così tanto. La chiarezza che si raggiunge può essere devastante, quanto è liberatoria e, purtroppo, solitaria. La volta che mi sono dichiarato, alla mia attuale moglie, ancora me la ricordo. E lei, quando la racconta a qualche amica, ride come la prima volta. Ma non è una risata di scherno, affatto: è la risata di chi capisce e prova lo stesso, una risata di comprensione."

"Scusami - le dissi - se non posso fare a meno di osservarti quando ti vedo attraversare la strada per raggiungermi. Scusami se quando non ci sei, non faccio altro che pensare a te, e a come tutto sarebbe bello, come tutto funzionerebbe, se tu fossi qui. Scusami se ti metto in imbarazzo, perché quando sento la tua voce, quando sento la tua risata, è come se mi stessero cullando. Scusami, non posso farci nulla: finirei per snaturare ciò che provo per te, nascondendolo o, peggio, appiattendolo. Ti amo, e non posso farci nulla. Ti amo."

Applauso a scena aperta.