domenica 20 novembre 2011

Sogni e dintorni

Mi è sempre piaciuto pensare che i sogni abbiano un significato. Sarà perché non mi piace pensare che quelle 7-8 ore (quando va bene) siano davvero "inutilizzate". Sarà perché i sogni che faccio di solito sono così "particolari" che devono averne uno. Le nozioni spicciole che ricordo di psicologia relativa ai sogni dicono che il significato dei sogni è da ricercare in ciò che rappresentano i figmenti di cose e persone in quel momento nel sogno, e magari rapportarlo a ciò che si vive nel presente.

Un esempio classico sono gli studenti che, prima o dopo l'esame di maturità, sognano di doverlo (ri)fare. Non è il mio caso specifico: quello vero è andato così bene com'è, che evidentemente il mio subconscio non ritiene di doverlo rivisitare. Invece, ho sognato di dover sostenere un esame universtiario nel mio vecchio liceo, ben dopo laureato; come nei classici del genere, ovviamente ero in ritardo, ovviamente non trovavo l'aula (almeno ero vestito). Tutto ciò perché nei sogni nulla è realmente fisso: i volti delle persone, ad esempio, cambiano ogni volta che distogliamo lo sguardo; le scritte passano da caratteri sfocati come dall'oculista (per chi non ci è mai andato, è come provare a leggere un quotidiano in penombra dopo alcune pinte di Sangrìa), a simboli che cambiano ogni volta che li guardiamo, a seconda di quello che il subconscio, in qualità di regista e sceneggiatore, detta.

Mi chiedo come tutta questa teoria possa inserirsi nel sognare di vedere film non ancora usciti, tipo - caso più eclatante - il seguito de "I Simpson - Il Film", o un nuovo film d'azione con Tom Cruise (il nuovo Mission Impossible?). Per la cronaca, quello dei Simpson mi è piaciuto: molto meglio del primo, autori più impegnati nel progetto e con maggiore licenza "di osare" rispetto al primo che doveva piacere ad una platea più vasta possibile (ne parlavamo qui). O perché in periodi della mia vita i miei sogni siano stati popolati da gatti. Ogni volta che sognavo, nel mio sogno c'era inevitabilmente un gatto (niente donne-gatto), che mi seguiva, mi accompagnava per strada, mi stava vicino in casa, col suo carico di significati (libertà e/o sessualità, sempre se ben ricordo).

Invece ho meno problemi nell'interpretare un altro grande "classico", che è quello della fuga: andare in qualche posto (ma senza sapere precisamente il perché, solo che "devo andare il prima possibile") o fuggire da qualcuno o qualcosa di imprecisato. Questo di solito è sintomo di voler "fuggire" da un problema nella vita reale. Non ho idea del problema corrispondente nella vita reale, ma in un paio di casi ero nella condizione in cui tutto quello che toccavo diventava di carta, letteralmente, collassando al suolo come un castello di carte. E non solo ciò che toccavo con le mani, bensì anche con i piedi: il tempo di guardare il pavimento su cui poggiavo che lo vedevo diventare di carta, e, nel giro di qualche secondo, iniziare a collassare verso l' "epicentro" della caduta, tirandosi appresso il resto delle cose trasformate in carta, che man mano creava la mia presenza. Esco di casa, faccio le scale: ogni gradino diventa fatto di carta, e cade giù. La strada, di carta, cade nelle fogne sottostanti e si rovina tutta. Le auto parcheggiate, il tettuccio di carta collassa nell'abitacolo di carta che, a sua volta, collassa sulla strada, di carta, e cade giù. E' curioso sia rimasto sveglio così a lungo da arrivare giù al palazzo, per strada.

Di quel sogno, fatto nella "notte dei tempi" - e che, senza sorprese, è uno di quelli che ricordo tuttora in modo nitido - mi ha sempre colpito un particolare: l'assenza di persone.

sabato 2 luglio 2011

Camminando

Metto un piede davanti l'altro. Con cuore e mente aperta. Cercando di non pensare a niente, concentrandomi solo sui miei passi. Abbasso lo sguardo per facilitarmi il compito. Il marciapiede è uno di quelli vecchi, fatti di lastroni di pietra incastonati uno con l'altro. Non è un'unica colata di asfalto, né una distesa di sanpietrini, sassolini levigati ognuno in modo diverso tutti immersi in un mare statico di cemento. Questi lastroni sono sì levigati dal tempo, dall'usura, ma sembrano tutti uguali tra loro. Nessun tratto distintivo che ti permetta di capire dov'eri prima e dove sei ora.

Metto un piede davanti all'altro. Continuo a guardarli, i miei piedi, avvolti dai calzini a loro volta avvolti dalle scarpe; di quelle comode ma al tempo stesso che invogliano a camminare, ad essere usate. Ricordo che quando ero piccolo, camminando su lastroni simili a questi, o forse proprio questi, per gioco calibravo i passi cercando di star sempre esattamente dentro un lastrone. Come su una immensa scacchiera, muovendomi casella dopo casella. Un pezzo degli scacchi, nella più grande partita che mi troverò a giocare.

Metto un piede davanti l'altro. Come se fosse di nuovo la prima volta. Come se stessi imparando nuovamente a camminare. Stavolta senza le urla festose di genitori per il primo passo verso la crescita del loro pargolo. Ad ogni passo è un incedere di motorini sferraglianti sotto il sole, di vociare proveniente dai negozi, di vento che si muove tra rami secchi di alberi che sono lì chissà da quanto tempo.

Metto un piede davanti l'altro. Ricordi anche che, prima di voler essere una pedina, camminando volgevi lo sguardo in alto e tutto attorno: ricordi palazzi di vari colori, manifesti strappati, una oasi di verde circondata da pietre bianche, panni stesi fuori ad alcuni balconi danzare al vento. Uno spettacolo sicuramente più variopinto di quello offerto da una lastra monocolore praticamente infinita di nero, intervallata dai due tocchi di colore delle tue scarpe, o da qualche cartaccia per terra. Cosa è cambiato?

Il punto forse è che all'inizio tutti, camminando, si guardano in alto e attorno a sé stessi: forse per rendersi conto del fatto che si stanno spostando, forse perché ammirati dalla diversità multicolore rispetto alle mura di casa. Poi le prime cadute, pian piano, e il dolore susseguente ci spingono a guardare prevalentemente verso il basso. Per vedere dove stiamo poggiando i piedi, se è una superficie sufficientemente solida per sostenerci, per avere i piedi ben saldi, se ci sono ostacoli.

Forse è anche per questo che si dice che non conta tanto la destinazione, quanto il viaggio in sé.

domenica 30 gennaio 2011

Un sabato sera e la teoria delle probabilità (con buona pace di Murphy)

Purtroppo, o per fortuna, è giunta l'ora di un nuovo post di vita vissuta. Spinto dal peso specifico delle vicende narrate, che hanno assunto nella mia mente il livello "conoscenze utili per l'umanità". Lettore avvisato...

Capita che, diversamente dai soliti sabato sera fuori casa, di primo pomeriggio tu abbia già la serata bella organizzata: gli amici di sempre, un cinema e "Il discorso del Re", nell'annuale marcia (parallela) di avvicinamento agli Oscar. Capita invece che quando è quasi ora di prepararsi, arrivi un contrordine: pub + altri amici.

(Prima del dipanarsi degli eventi, metto agli atti che l'idea non mi dispiaceva: birra - possibilmente non la Peroni casalinga - e panino imbottito - di quelli così "tanti" che a casa non fai perché ti scocci e un pò ti vergogni di preparare - sono un connubio interessante.)

Saltando il viaggio in macchina, arriviamo al luogo d'incontro, da cui andare al pub X. Solo che scopriamo che il luogo stabilito non è il pub X, ma Y. Breve digressione su quale dei due sia meglio: in breve X batte Y per fattore parcheggio, ma Y surclassa X per vicinanza e minor numero di persone in attesa stimato a "un pò prima". Viene pertanto deciso a mani basse di andare al pub Y. Che ad occhio e croce è la stessa decisione fatta da millemila altre persone.

(Qui immagina un'ora e mezza almeno di attesa all'impiedi. Di cui almeno un'ora al freddo. Umido.)

Arriva il nostro tavolo. Anzi no, prima ci danno indicazioni su dove si trova (e qui la tua mente immagina, chissà perché, il corridoio dell'Overlook Hotel). Entriamo in una sala che sì, ricorda un pub irlandese, ma anche un pub irlandese un pò in disuso. Ci sediamo, ordiniamo. Tempo duevirgolatrenanosecondi che gli "sfizi" d'ordinanza sono già arrivati. Con temperatura prossima a "erano già lì sul bancone da qualche minuto", ma questo lo si scoprirà di lì a poco. Nel contempo, chiediamo numi delle bibite: "Arrivano". Difatti qualche attimo dopo si fanno largo sul tavolo. Solo che tutte quelle non imbottigliate sembrano provenire anch'esse dallo stesso bancone di cui sopra, vista la totale assenza di schiuma. Le rimandiamo indietro, e magicamente poco dopo tornano identiche con giusto mezzo cm di "spinamento".

(Su questo punto in quegli istanti avverrà una discussione tra uno degli astanti e il proprietario, ma la preoccupazione in quei momenti è anche un'altra...)

"Ma...i panini?" è la domanda più in voga a tavola. In effetti tardano ad arrivare da almeno mezz'ora (fuso orario del tuo stomaco). Dopo quasi un'ora e mezza (fuso orario del tuo orologio), quando matematicamente hai dimenticato il nome del panino e/o cosa conteneva, chiedi numi: le risposte vanno da "Non so, mi spiace", a "Mò vedo", salvo poi non rivedere mai più quel/la cameriere/a (l'idea più probabile è che sia sparito, partito e abbia cambiato lavoro, nome e cittadinanza. Con la tua benedizione). Dopo due ore, quando oramai il tuo stomaco ha raggiunto l'orario di chiusura, vieni a sapere da un cameriere più coscienzioso che c'erano stati problemi con gli ingredienti: capita che, per uno strano fenomeno, man mano che vengono preparati dei cibi, gli ingredienti diminuiscano e poi addirittura svaniscano del tutto (qualcuno chiami Giacobbo!). Per fortuna il "Forse dobbiamo annullare la vostra ordinazione" diventa "Ok, sono arrivati nuovi ingredienti, tutto a posto, pazientate ancora un poco" nel giro di pochi intensi minuti (nei quali già immaginavi la scena madre della marcia di protesta tua e degli altri clienti successivi verso l'uscita del pub. E, per contrappasso, anche la scena dei Nuovi Mostri). Devi aspettare qualche minuto extra per il tuo panino rispetto a quello degli altri astanti, ma non voglio fare il polemico proprio alla fine del post.

Conclusione, le leggi di Murphy avrebbero previsto tutto ciò. La teoria delle probabilità invece no, almeno non con la stessa certezza, vista l'incredibile aleatorietà (e direi anche indipendenza) delle variabili in gioco. Pertanto riassumo il risultato finale: Murphy 2 - Logica matematica 0. E tutti a casa.

sabato 8 gennaio 2011

Simulmondo already did it

Qualche giorno fa un amico mi ha spedito il trailer del primo gioco di calcio (o almeno presunto tale, visti i recenti sviluppi della serie concorrente FIFA in tal senso) per il prossimo Nintendo 3DS: Winning Eleven 3DSoccer.


Caspita che idea! Hai capito sti jappo? Telecamera alle spalle del giocatore controllato in quel momento, per sfruttare al meglio l'effetto profondità del 3D...

Però...però...mi sembra di averlo già visto. Anzi, mi sembra addirittura di averci giocato più di una volta.

Per i giocatori più stagionati, sto chiaramente parlando di QUESTO. Ah, l'italico ingegno...