domenica 4 novembre 2012

Librerie, sogni e affini

Avete presente una di quelle giornate dove ogni sinapsi del proprio sistema nervoso sembra orientata solo a passare in rassegna, catalogare e dissezionare ogni cosa sbagliata accaduta nella propria vita? Una di quelle giornate dove ogni stimolo viene interpretato dalla propria testa e dal proprio subconscio come utile solo a ricordare tutto ciò di sbagliato che ha contribuito a portarti fino a quel momento: una frase di troppo, un gesto sgarbato, una cosa non fatta. Non sto parlando della trappola fine a sé stessa dei "forse", dei "se", e di tutte quelle condizioni ipotetiche che sono spesso solo un fardello tanto pesante quanto internamente vuoto: parlo di pura e semplice analisi meticolosa e dettagliata (perché la memoria sa quando lasciarti appeso e quando invece si ricorda anche i dettagli più minuziosi) di tutte le situazioni passate dove, nonostante la buona fede, la sincerità d'animo e altri sentimenti positivi, l'esito non è stato quello voluto, o quantomeno sperato.

Comunque, in una giornata del genere mi trovai davanti ad una libreria. Era un megastore, di quelli come se ne vedono in giro, che sembrano tutto fuorché una libreria tradizionale: colori patinati, musica di sottofondo, espositori pieni di libri. Non ce l'ho con i posti così, anzi, ma mi danno sempre un retrogusto di "conoscenza offerta un tanto al chilo". Non so perché.
Decisi che, in fondo, vista la situazione, l'amarezza recondita era una tassa accettabile da pagare, così entrai per fare un giro. La speranza non poi così nascosta era che le copertine variopinte di libri, gli autori più noti suddivisi per genere, e i classici in ordine alfabetico per autore avrebbero dato tregua al flusso nefasto che continuava la sua opera nella mia mente.

Una volta entrato camminai senza direzione, lentamente, affidandomi all'istinto. Quando arrivai a destinazione, o almeno a quella che sentivo come tale, mi colpirono due cose: la prima era un ragazzo, dall'aria tesa, con l'orecchio incollato ad un telefonino. Andava avanti e indietro, ogni tanto cercava di parlare, ma l'interlocutore doveva avere molte più cose da dirgli, in quanto lo interrompeva di continuo, e tutto quello che ne usciva erano solo monosillabi di un discorso: "Eh, ma...", "No, non...", "Quando...", "Invece...". La sua voce non aveva un volume troppo elevato, o almeno non ancora, e il monologo non offriva spunti d'interesse, così potei venir interamente colpito - metaforicamente - dall'altra cosa.

I libri. Non credo che possa capitare, almeno non conosco nessuno cui sia capitato. Tutti i libri esposti in quella zona li avevo letti, nel giro delle ultime settimane: quelli letti d'un fiato, quelli lasciati e poi ripresi, altri lasciati del tutto ma con la consapevolezza (fasulla?) che ci saremmo reincontrati prima o poi, ché lasciare un libro incompleto è un delitto. "Come tutto il resto", si fece risentire per un attimo il flusso nefasto di pensieri che si era appena intrufolato nel mio stupore.

Incuriosito da questa cosa, e per far tacere nuovamente la vocina nella mia testa, i miei passi ripresero lentamente, guardando gli scaffali con nuova attenzione. Il ragazzo, ora più lontano, era sempre a telefono, sempre alle prese con il suo tentativo di esprimersi in qualcosa di diverso da monosillabi o preposizioni.

Intanto, ad ogni passo la situazione dei libri non cambiava: romanzi, saggi, piccoli, gialli, leggeri, seri, comici, rilegati, fantascientifici, economici, grandi. Erano tutti lì. Era come se qualcuno avesse annotato le mie letture nel corso degli ultimi mesi e l'avesse ritenuto tanto valido, o tanto curioso, da decidere di esporlo per vedere a chi altro potesse interessare. Dato che gli astanti al momento erano in due, io e il monologhista incompleto, non credo che l'idea abbia avuto molto successo. "In fondo, è un pò consolante" - pensai - senza sapere bene da dove venisse la consolazione della cosa.

Avanzai con ancora più curiosità, per vedere l'elenco dei libri fin dove arrivasse e, con mio stupore, copriva una distanza temporale maggiore di quanto la mia memoria ricordasse. Convinto che gli scaffali avessero una memoria migliore della mia, esitando per qualche istante, presi un libro tra quelli del genere "libri che secondo gli scaffali dovrei aver letto ma che non ricordo". Sfogliandolo, ammetto che non trovai quello che mi aspettavo.

Non so se fui più stupito del trovarlo interamente bianco, o del fatto che non era l'unico esemplare con questa caratteristica di quel "genere" da me brevettato poco prima. Feci il percorso a ritroso, pensando in fondo fosse normale il loro anonimato testuale, visto che non ricordavo di averli letti. Arrivai davanti ai libri più "recenti", credo di qualche mese fa. "Questi me li ricordo", pensai convintamente, "devono essere scritti". Invece no. Erano tutti completamente bianchi. Come se lo stesso addetto, magari dopo aver provato a leggere la stessa sequenza di libri, avesse deciso che potevano essere (ri-)scritti meglio, e, aspettando l'ispirazione, avesse deciso di tenerli lì.

Decisi a quel punto di andare a vedere se, anche nelle altre sezioni, la situazione fosse la stessa. Passai dove prima c'era il ragazzo, che doveva essere sparito mentre io mi giostravo tra libri bianchi.

Fu in quel momento che il mio cellulare si mise a squillare.