domenica 1 settembre 2013

Il corridoio

Ero in un corridoio bianco, di un bianco che a fissarlo dopo un po' faceva quasi male agli occhi, come se fosse un unico neon ininterrotto. Ricordo che il corridoio sembrava estendersi all'infinito, e, per quanto lo sguardo si spingesse in avanti, sembrava non finire mai. Un'altra caratteristica che ricordo era il silenzio: sentivo solo i miei passi e nient'altro; provai a parlare, ma non sentivo la mia voce, o anche solo una eco. Solo i miei passi. Neppure un ronzio, neppure un qualcosa che mi aiutasse a capire, se non dove fossi, quanto tempo ci sarei dovuto rimanere.

Dopo alcuni minuti lì, immobile, la vista si era adattata alla luce, al che decisi di incamminarmi, per esplorare il posto. Nello spostarmi notai che ai lati del corridoio c'erano come delle rientranze, a forma di porte. Anche queste, inutile dirlo, pressocché infinite: non mi sarebbero bastate 2 o 3 vite per controllarle tutte.

Mi ero avvicinato ad una di queste "porte", quando dall'altro lato sentiì delle voci. Non riuscivo a distinguere cosa dicessero, una voce sembrava femminile; qualcosa, tuttavia, mi diceva che erano voci familiari. Nel toccare la porta, il materiale luminoso che la formava si ritrasse, e scomparve.

Dall'altra parte mi si era palesata davanti una scena tenera: un bambino che parlava con una donna, molto più grande di lui. Il bambino aveva in mano qualcosa, un giocattolo. Stavano parlando, in modo calmo. Anzi, lei parlava molto, lui ascoltava e ogni tanto sembrava chiederle qualcosa. Non riuscivo a sentire cosa dicessero, ma sembrava che lei gli stesse spiegando come funzionasse il giocattolo. Quest'ultimo colpì la mia attenzione: "Curioso, - pensai - assomiglia molto ad uno simile che avevo da piccolo". Guardando meglio la donna, notai che anche lei aveva un'aria familiare. "Assomiglia molto a mia madre da giovan...". Non finiì la frase, non ne avevo più bisogno.

Stavo guardando me stesso in un flashback.

Appena realizzata la cosa, la scena si fermò, e le luci si spensero, come se avessi spento un televisore. Feci un passo indietro, e il materiale luminoso richiuse la porta alle mie spalle. Mi avvicinai ad un'altra "porta", ed ecco un'altra scena: stavolta mi riconobbi, ero a qualche anno di distanza dall'ultima scena; con me c'era mia nonna, a guardare la televisione. In un'altra scena ero a scuola, e parlavo con una compagna di banco, mentre scrivevamo qualcosa. Per un po' la cosa andò avanti così: mi avvicinavo ad una porta, vedevo la scena, mi allontanavo, la porta si richiudeva, facevo qualche passo avanti lungo il corridoio, e si ricominciava. In ogni scena c'ero sempre io, in vari momenti della mia vita, e con me c'erano sempre altre persone, di sesso femminile: compagne di scuola, ragazze di cui ero innamorato, parenti, ex-fidanzate, amiche, e così via.

Mi ero fatto un'idea di cosa fosse quel posto: poteva essere una rappresentazione della mia mente, se non della mia memoria. Eppure c'erano particolari che non ricordavo, fino al momento prima di riconoscerlo. Un po' come quando un ricordo non è "vivo" in sé nella propria testa, ma lo diventa quando associato ad una sensazione che lo fa scatenare. Altro particolare da non sottovalutare: ogni volta ero sempre con una compagnia femminile. Qualsiasi cosa volesse significare.

Appena ebbi finito di raccogliere le idee, una (solita?) voce fuori campo disse:
"Puoi continuare a guardare i tuoi ricordi finché vuoi, a scandagliarli fino al più piccolo dettaglio. Ma devi accettare che non c'è sempre un modo giusto in assoluto di comportarsi. E' ora di lasciarti andare."