mercoledì 16 ottobre 2013

de Amore: liberi pensieri, detti (poco) comuni ed elucubrazioni fine a sé stesse in un libero post



Non so molto dell'amore.

Lo so, è una espressione banale. Ma è la verità. Ne so quanto ne hanno trattato diversi autori nel corso dei secoli, sapientemente riassunti e commercializzati da una nota casa dolciaria. Ne so quanto mi hanno insegnato anni di film, telefilm, cartoni animati di rapporti sentimentali "coi problemi" (E' quasi magia, Johnny! ce l'ho proprio con te). Ne so quanto ho potuto raccogliere da vari racconti e testimonianze indirette e (fugacemente) dirette. Quindi non ne so molto.

Quel poco che ne so, poi, conferma il fatto che non ci sia molto da sapere. Il problema, volendolo affrontare empiricamente, è che si cerca di dare connotazione razionale ad un qualcosa che non ha connotazione razionale. Non completamente almeno: ormoni, feromoni, chimica, dna, giù giù fino a trascendere in espressioni come vite passate, anima gemella, ecc. Così come altre definizioni usate per aiutare a comprenderlo: voler bene a qualcuno, prendersi cura di qualcuno, voler stare con qualcuno, non rendono completamente l'idea in maniera assoluta, proprio perché è un "oggetto" sfuggente a qualsiasi definizione.

Quando penso che definizione darei alla parola "amore", uno dei ricordi più vividi è di un monologo. Anni fa, in epoca pre-internet, ero davanti alla tivù, su Rai Due. C'era uno spettacolo in seconda serata: protagonista un divano, con su due persone famose che parlavano a ruota libera, o almeno era quello che il programma prometteva, per una ventina di minuti. Ogni puntata un paio di coppie, non rivelate fino alla messa in onda (ricordo: epoca pre-internet). Il divertimento era vedere come interagivano tra loro persone appartenenti a mondi diversi, per esperienze, crescita e anche credo religioso. Un cantante pop e uno scrittore potevano mettersi a parlare di cucina, e scoprire cose in comune, in una specie di divertissement cazzaro a poco prezzo. Ma mi sto dilungando.

Una sera, in uno di questi sketch c'era Rocco Papaleo. Ben lontano dai fasti (?) sanremesi e dall'umorismo finto-caserma che lo ha contraddistinto di recente. Non ricordo chi fosse l'altra persona, forse non era importante. Quello che ricordo è di cosa si parlava: di amore.

(Disclaimer: non ho una memoria eidetica, pertanto quello che segue è una libera reinterpretazione, con, innegabilmente, diversa farina del mio sacco.)

"Io amo le donne", esordì Papaleo. "Al di là di facili battute, le amo. Hanno le voci un po' più dolci degli uomini, o più buffe. Sono morbide da abbracciare. Sono rassicuranti, sono incoraggianti: sono capaci di farci e disfarci con la loro sola silenziosa presenza."

"Però, a volte si dice che siano loro il problema. In realtà dopo tutti questi anni, solo di recente ho capito che il problema spesso non sono loro: molto spesso è il modo con cui ci rapportiamo a loro. Il modo con cui proviamo a reagire alla loro presenza. Non è un modo unico di sbagliare, ognuno sbaglia come più gli aggrada."

"Io, ad esempio, quando mi piace qualcuna non riesco a nasconderlo. So di persone, presunti "esperti" della materia, che inorridirebbero o mi prenderebbero in giro per questa cosa. Probabilmente direbbero che è un difetto, e forse lo è: non puoi sempre giocare a carte scoperte, specie se il gioco non ne prevede. Ma quando mi innamoro di qualcuna è un piccolo evento nella mia vita: e voglio festeggiare questo piccolo evento. Voglio condividere il benessere che l'innamoramento mi porta, voglio esternarlo, soprattutto a chi mi sta vicino. Vorrei poter dire "Eccola lì, la felicità! Guardate, non arrendetevi! La, o, meglio, UNA felicità, è lì, vicino; troppo vicino perché forse sia raccoglibile da tutti. Ma è lì, silenziosa. Come una donna, per l'appunto."

"Il punto è che questa gioia acquisita, seppur effimera, è facilmente malvista, è giudicata inopportuna. Quasi con fastidio. Molto spesso, poi, dalla stessa persona che, magari inconsapevolmente, ci ha donato così tanto. La chiarezza che si raggiunge può essere devastante, quanto è liberatoria e, purtroppo, solitaria. La volta che mi sono dichiarato, alla mia attuale moglie, ancora me la ricordo. E lei, quando la racconta a qualche amica, ride come la prima volta. Ma non è una risata di scherno, affatto: è la risata di chi capisce e prova lo stesso, una risata di comprensione."

"Scusami - le dissi - se non posso fare a meno di osservarti quando ti vedo attraversare la strada per raggiungermi. Scusami se quando non ci sei, non faccio altro che pensare a te, e a come tutto sarebbe bello, come tutto funzionerebbe, se tu fossi qui. Scusami se ti metto in imbarazzo, perché quando sento la tua voce, quando sento la tua risata, è come se mi stessero cullando. Scusami, non posso farci nulla: finirei per snaturare ciò che provo per te, nascondendolo o, peggio, appiattendolo. Ti amo, e non posso farci nulla. Ti amo."

Applauso a scena aperta.

domenica 1 settembre 2013

Il corridoio

Ero in un corridoio bianco, di un bianco che a fissarlo dopo un po' faceva quasi male agli occhi, come se fosse un unico neon ininterrotto. Ricordo che il corridoio sembrava estendersi all'infinito, e, per quanto lo sguardo si spingesse in avanti, sembrava non finire mai. Un'altra caratteristica che ricordo era il silenzio: sentivo solo i miei passi e nient'altro; provai a parlare, ma non sentivo la mia voce, o anche solo una eco. Solo i miei passi. Neppure un ronzio, neppure un qualcosa che mi aiutasse a capire, se non dove fossi, quanto tempo ci sarei dovuto rimanere.

Dopo alcuni minuti lì, immobile, la vista si era adattata alla luce, al che decisi di incamminarmi, per esplorare il posto. Nello spostarmi notai che ai lati del corridoio c'erano come delle rientranze, a forma di porte. Anche queste, inutile dirlo, pressocché infinite: non mi sarebbero bastate 2 o 3 vite per controllarle tutte.

Mi ero avvicinato ad una di queste "porte", quando dall'altro lato sentiì delle voci. Non riuscivo a distinguere cosa dicessero, una voce sembrava femminile; qualcosa, tuttavia, mi diceva che erano voci familiari. Nel toccare la porta, il materiale luminoso che la formava si ritrasse, e scomparve.

Dall'altra parte mi si era palesata davanti una scena tenera: un bambino che parlava con una donna, molto più grande di lui. Il bambino aveva in mano qualcosa, un giocattolo. Stavano parlando, in modo calmo. Anzi, lei parlava molto, lui ascoltava e ogni tanto sembrava chiederle qualcosa. Non riuscivo a sentire cosa dicessero, ma sembrava che lei gli stesse spiegando come funzionasse il giocattolo. Quest'ultimo colpì la mia attenzione: "Curioso, - pensai - assomiglia molto ad uno simile che avevo da piccolo". Guardando meglio la donna, notai che anche lei aveva un'aria familiare. "Assomiglia molto a mia madre da giovan...". Non finiì la frase, non ne avevo più bisogno.

Stavo guardando me stesso in un flashback.

Appena realizzata la cosa, la scena si fermò, e le luci si spensero, come se avessi spento un televisore. Feci un passo indietro, e il materiale luminoso richiuse la porta alle mie spalle. Mi avvicinai ad un'altra "porta", ed ecco un'altra scena: stavolta mi riconobbi, ero a qualche anno di distanza dall'ultima scena; con me c'era mia nonna, a guardare la televisione. In un'altra scena ero a scuola, e parlavo con una compagna di banco, mentre scrivevamo qualcosa. Per un po' la cosa andò avanti così: mi avvicinavo ad una porta, vedevo la scena, mi allontanavo, la porta si richiudeva, facevo qualche passo avanti lungo il corridoio, e si ricominciava. In ogni scena c'ero sempre io, in vari momenti della mia vita, e con me c'erano sempre altre persone, di sesso femminile: compagne di scuola, ragazze di cui ero innamorato, parenti, ex-fidanzate, amiche, e così via.

Mi ero fatto un'idea di cosa fosse quel posto: poteva essere una rappresentazione della mia mente, se non della mia memoria. Eppure c'erano particolari che non ricordavo, fino al momento prima di riconoscerlo. Un po' come quando un ricordo non è "vivo" in sé nella propria testa, ma lo diventa quando associato ad una sensazione che lo fa scatenare. Altro particolare da non sottovalutare: ogni volta ero sempre con una compagnia femminile. Qualsiasi cosa volesse significare.

Appena ebbi finito di raccogliere le idee, una (solita?) voce fuori campo disse:
"Puoi continuare a guardare i tuoi ricordi finché vuoi, a scandagliarli fino al più piccolo dettaglio. Ma devi accettare che non c'è sempre un modo giusto in assoluto di comportarsi. E' ora di lasciarti andare."

martedì 6 agosto 2013

Pacific Rim: un film con un'anima.

In una sola immagine, quello che penso di questo film e di Attack on Titan


- Pronto?
- Pronto, parlo con Michael Bay?
- Sì, chi è?
- Salve, la chiamo a nome della Legendary Pictures. L'abbiamo contattata perché abbiamo un soggetto su cui vorremmo fare un film, e lei ci sembra la persona adatta.
- Mi dica...
- Bene, vorremmo fare un film dedicato ai cartoni animati giapponesi con i robottoni, ha presente? Tipo Goldrake, Mazinga...
- Mmm...capisco. Beh, decisamente vi siete rivolti alla persona giusta, me lo lasci dire. Ho fatto così tanta esperienza con i Transformer che...
- Ecco, sì, ma noi volevamo fare qualcosa che non sembrasse "Transformer senza i transformer". Volevamo un film spettacolare, sì, ma che comunque fosse qualcosa di più che un semplice mezzuccio per far vendere giocattoli...
- Ah. Certo, mi rendo conto. Un film più impegnato, più serio. Come Transformer 3.
- Ehm...sì, diciamo. Lo studio vorrebbe sentire un po' come immagina certe scene. Le racconto la trama così può capire il contesto: da una faglia aperta nell'oceano escono dei mostri giganti. L'umanità si riunisce e costruisce dei robot per combatterli, e all'inizio...
- Sì sì, ho capito benissimo. Come le dicevo, oramai sono pratico di film con i robottoni. Anzi, potrei dire che sono il massimo esperto: Spielberg ha diretto solo quello della boxe tra robot che, mi lasci dire, era ridicolo. Come si fa un film con i robot senza neppure una esplosione? Andiamo!
- ...sì. Mi descriva qualche scena, le spiace?
- Ecco, io immagino una inquadratura di una città, la più vicina alla faglia da cui escono i mostri. Persone che camminano, auto, mi segue? Poi all'improvviso BOOM! Esplodono i vetri dai palazzi! BOOM! Alcune auto per strada si ribaltano! La gente è spaventata, è naturale. Guardano tutti verso l'alto...BOOM! Un aereo di linea cade su un grattacielo - così c'è anche il momento drammatico che ricorda il 9/11, e i critici sono contenti. Poi si vede il mostro: una cosa enorme, mastodontica, che non entra in una inquadratura. Si muove con una lentezza incredibile, prende un'auto e la scaraventa contro un ponte dove sta passando un treno...BOOM!
- Ehm, sì, capisco. Ma i personagg...
- E poi BOOM! Il mostro ribalta altre auto e si avvicina ad una bambina che è rimasta lì. La bambina lo fissa terrorizzata, il mostro sembra stia per schiacciarla...attimi di suspense...e poi BOOM! Arriva un robot gigante degli Americani, pilotato dal protagonista che ribalta il mostro contro un palazzo. BOOM! Il palazzo crolla! La lotta va avanti...i due mostri si scrutano l'un l'altro...e poi si affrontano! L'onda d'urto degli impatti fa volare via diverse macchine che esplodono! BOOM! BOOM!
- Sì, senta....
- E poi BOOM! Ancora...
- Signor Bay?
- BOOM!
- SIGNOR BAY?
- Sì, scusi. Ero in pieno vortice creativo. Mi dica?
- Guardi, temo che il film come ce lo sta descrivendo non sia come gli studios se lo immaginavano. Mi spiace, ma credo che non se ne farà nulla. Mi spiace per il tempo che le abbiamo impegnato.
- Spiace più a me: tutto questo materiale me lo terrò per Transformers 4. Peggio per voi, avete buttato una potenziale miniera d'oro! *click*

...

- Pronto?
- Il signor Guillermo Del Toro?
- Sì?
- Salve. La chiamo per conto della Legendary Pictures. Avremmo la sceneggiatura per un film, e vorremmo sottoporgliela per sapere se è interessato.
- Capisco. Di cosa tratta?
- Vorremmo fare un film che richiami le atmosfere della produzione orientale d'animazione su robot giganti.
- Mi ricorda dei cartoni che vedevo tempo addietro...Mazinga, Goldrake...
- Sì, è esattamente questo che immaginavamo. Guardi, le racconto la trama, così può farsene un'idea: da una faglia aperta nell'oceano escono dei mostri giganti. L'umanità si riunisce e costruisce dei robot per combatterli, e all'inizio sembra funzionare. Ma naturalmente non tutto è quello che sembra...
- Certo, certo. Però, pensavo, il tutto andrebbe attualizzato. Non è che possiamo riproporre il materiale già esistente, rielaborato giusto per nostalgia. Potremmo prendere ispirazione da prodotti più recenti che hanno già approfondito alcune questioni, tipo Evangelion. E poi il dualismo uomo-macchina, i rapporti tra persone unite da una lotta impari. E poi ci sarebbe il discorso della scienza, sia per come spinge gli esseri umani a ottenere e lavorare con mezzi per fermare una minaccia, sia per come cerca di studiare questi alieni, questi mostri o quel che siano...c'è davvero molto di cui parlare.
- Molto bene, mi sembra affine alla visione degli studios.
- Però devo confessarle che non ho mai diretto finora un film di questo genere. Se accetterò vorrò avere un po' di libertà creativa, per poterne fare una mia visione di quel mondo.
- Non so, dovrei parlarne con gli studios...mi può fare un esempio?
- Beh, come le ho già detto non vorrei farne solo un film "di robottoni che lottano". Sono d'accordo che è un film di cassetta estivo, e capisco le esigenze degli studios, ma voglio che, ad esempio, i personaggi non siano troppo piatti, che siano sì riconoscibili, ma non bidimensionali.
- ...capisco. Poi?
- Poi vorrei che ci fossero momenti di paura. Sia per i più piccini che per i grandi. E non paura alla Tim Burton, "oh guardate, i mostri non sono cattivi". I miei mostri lo saranno, cattivi. E faranno paura.
- Preso nota. Altro?
- Ah sì, vorrei che Ron Pearlman avesse una parte. Non sarebbe un film "mio" altrimenti.
- Capito. Vedrò cosa diranno gli studios, ma non penso ci saranno troppe obiezioni.
- Bene. Sono lieto che ci sia sintonia tra la mia visione e quella degli studios.

...

- Senta...
- Sì, signor Del Toro?
- Mi tolga una curiosità: non sono la prima persona cui avete pensato come regista, sbaglio?
- Non dovrei dirglielo...ma avevamo pensato ad un altro candidato. Che magari avesse già confidenza su film con robot giganti. Sa, il budget imponente, il peso che gli studios vogliono dare al film...
- E che è successo? Ha rifiutato?
- Diciamo che aveva vedute diverse dagli studios sullo stile del film.
- Capisco. E' un problema se ne terrò conto durante la lavorazione di alcune scene?
- Non credo.
- Molto bene. Accetto la proposta. Grazie per l'opportunità, a presto! *click*

giovedì 13 giugno 2013

Le fiere

Il corridoio buio scorreva rapido dietro di me. Con esso le luci del neon che ritmicamente si spostavano sopra di me, illuminandomi il viso sconvolto. L'unica colonna sonora era il rumore dei miei passi, il mio respiro affannoso mentre cercavo un nascondiglio. No, meglio, una via di fuga.

Ecco il corridoio terminare, allargarsi, e rivelare un parcheggio sotterraneo. Cercai subito delle chiavi in tasca, invano. Così decisi di forzare un auto e provare a metterla in moto. Ormai non avevo null'altro in mente se non la fuga.

D'un tratto tre figure si posero davanti a me. Erano ad una tale distanza che, data la scarsa illuminazione, non riuscivo a distinguerne altro che i contorni: una sagoma enorme e minacciosa; un'altra minuta e sfuggente; e, infine, una terza femminilmente inconfondibile. Rimasi in silenzio, non so se più per timore o per lasciare facessero loro la prima mossa, in modo da studiare la situazione.

- "Sappiamo perché fuggi", disse l'ombra femminile
- "E' inutile", disse quella mastodontica
- "Conviene che ti fermi e ci ascolti", disse l'ombra esile

Eccolo, il momento: milioni di anni di evoluzione ristretti in pochi millesimi di secondo. Fight or flight? Combattere o fuggire? L'istinto scelse la seconda: maggioranza numerica schiacciante e conoscenza zero dell'avversario.

Con un balzo l'ombra mastodontica bloccò il mio tentativo di fuga, parandosi davanti a me. Se ripenso al momento, riesco ancora a sentire il pavimento tremare sotto i miei piedi, appena toccò terra. I suoi occhi mi fissarono per qualche secondo, poi lo sentiì dire

- "Sono la sicurezza di sé stessi, quella che non avrai mai: un fisico possente che incute timore e rispetto..."

Approfittai dell'attimo di pausa e cambiai direzione di fuga. Una fiammata mi bloccò.

- "...e la capacità di lasciarmi andare, usando la mia rabbia in modo costruttivo."

Mentre diceva queste parole entrai nella prima porta che trovai e lasciai la belva fuori. Ero in un bagno, piuttosto decrepito. Le pareti erano pulite, ma così troppo da risultare quasi nauseanti. La luce era intermittente, data da una lampadina in procinto di spegnersi del tutto, che però emetteva un ronzio in tema con l'ambiente. Mi avvicinai al lavabo e mi gettai un po' d'acqua in faccia.

- "Certo, non che un po' d'acqua possa far miracoli", disse una voce vicino a me.

Mi girai di scatto, ma non c'era nessuno con me. Riguardai lo specchio: ecco l'ombra esile, dall'altra parte dello specchio:

- "Sono la libertà che non potrai mai assaporare: riesco a spostarmi da uno specchio all'altro, in modo da poter andare dove voglio con una facilità disarmante."

Caddi all'indietro, e indietreggiai in preda al panico. Non sapevo più se ciò che era davanti a me era reale o meno. Come fosse liquida, l'ombra uscì dallo specchio, e si ricompose davanti a me. Ora era meno sfuggente, anzi, sembrava di vedere la mia stessa sagoma. Guardandomi mi disse:

- "Posso modificare il mio aspetto, mescolarmi tra la gente, integrarmi facilmente, essere uno di loro. Chiunque loro siano."

La lampadina decise che era il momento adatto per spegnersi del tutto. Raggiunsi l'uscita senza voltarmi indietro, ed entrai nella prima macchina che vidi. Ero chino sotto il volante, cercando di metterla in moto alla men peggio, quando una voce femminile disse:

- "Fai sempre così: devi sempre incaponirti a capire come funziona tutto, non accetti le cose per ciò che sono."

Bloccato mi girai verso il sedile passeggero: l'ombra femminea era lì, che mi fissava, divertita. Mi sentivo come un topo che si trovasse d'improvviso un gatto davanti. Si avvicinò a me, lentamente. Senza opporre alcuna resistenza, mi lasciai mordere un labbro. Dopodiché, con la voce più suadente mai sentita, mi sussurrò all'orecchio:

- "Sono tutto ciò che desideri e che non avrai mai, se continui a scappare: la fiducia verso l'altro da sé stessi, al di fuori dalle amicizie e dagli affetti familiari. La passione. L'amore. Il desiderio."

Aprii di scatto la portiera della macchina. La sua risata mi inseguiva mentre correvo senza una meta precisa.

domenica 9 giugno 2013

La grande bellezza - Una recensione

- Pronto?
- Pronto Toni? Sono Paolo.
- We Paolo, ciao. Che dici?
- Tutto a posto. Senti un fatto, sto preparando il mio nuovo film...
- Ma che è, n'altra cosa scritta con Sciòn Penn che vuole fare l'impegnato?
- No no. Questa non contiene manco nazisti, figurati.
- Ma dove la giri?
- Qua a Roma. Prevalentemente di notte. Con molte opere d'arte.
- Ah, capito. Bello!
- ...e senti, stavo pensando a te come protagonista.
- Ah, mi fa piacere. E chi dovrei interpretare?
- Uno scrittore che ha scritto un solo romanzo, di successo, e che ora fa il giornalista.
- Ma ha qualche tratto particolare?
- Dice molte frasi fatte, però meno irritanti e brutte di quelle di Sciòn Penn.
- Eh, meno male. Ma poi nulla più?
- No vabbè. Basta che fai il Toni Servillo, va benissimo così.
- Senti, e chi altro ci sta?
- Ah, guarda, qua abbiamo fatto le cose in grande: siccome è un film su Roma, abbiamo chiamato diversi attori romani che fanno varie comparsate, più qualche "intruso". Così il pubblico si diverte a fare "Uh, guarda, ci sta coso!", e alleggerisce il peso del film.
- Ho capito, ho capito. Senti, per me si può fare.

L'espressione del sommo Toni Servillo non è direttamente correlata col giudizio sul film
(fonte immagine: http://www.labottegadihamlin.it)


A due anni di distanza da "This Must Be the Place", sulla cui pretestuosità e sulla cui genesi ha sapientemente scritto il Saggio Andrea, Sorrentino ci riprova con più sostanza e con meno forma finto-pomposa per darsi un tono impegnato. Non che il film non voglia esserlo o non lo sia, ma stavolta la somma delle parti che lo compongono è quantomeno all'altezza delle singole parti.

Il risultato è un film "alla Sorrentino", che risente sì della non-narratività del film precedente, ma che stavolta ha quantomeno un senso, un filo conduttore che conduce lo spettatore lungo il film; filo conduttore che fa il verso alla Dolce Vita - e non può non farlo - quantomeno senza mai evocarla troppo esplicitamente.

Servillo fa Servillo. Il che, considerato che è uno dei migliori - se non il miglior - attore italiano in circolazione, è un pregio. Il suo Jep Gambardella potrebbe pure non dire le frasette fatte per "farle ricordare alla gente", in quanto risulta ben più espressivo con le smorfie e le espressioni di Toni.

Rimane l'effetto shock dei primi minuti, con una specie di "Indovina chi?" giocato sugli attori che fanno una comparsata, che in pratica riempie TUTTI i primi 20-30 minuti lenti e inesorabili del film. Superato il timore di essere davanti ad un "This must be the place: Rome Edition", il film procede bene, salendo gradualmente di intensità man mano che accadono fatti nella vita di Jep.

Unico neo: sconsigliate poltrone troppo comode. I 150 minuti di girato potevano essere tagliuzzati tranquillamente entro le due ore, ma alla fin fine non sono esageratamente estenuanti.

lunedì 27 maggio 2013

Relatività



Schegge scure, di un cielo notturno, cadono intorno a me. Sento il loro cadere a terra e fracassarsi in mille pezzi, infinitesimali, microscopici.

Le vedo per un istante crollare intorno a me, come lampi scuri che ingannano la vista. Un rumore di fondo in una visione colorata, sì, ma stinta, smunta.

Continuo a camminare tra le schegge impazzite, il volto non tradisce alcuna espressione, costantemente impegnato ad avanzare, un passo alla volta, lo sguardo fisso in avanti.

Ho paura di girarmi, di vedere che la strada che ho percorso non c'è più, o sta scomparendo dietro di me, o, peggio, è ancora lì come se niente fosse. Ho il timore di soffermarmi a guardare una di quelle schegge: se lo faccio - mi balenò in mente il pensiero - sarò risucchiato in una di esse. Un infinitesimale buco nero, un portale al di fuori del tempo e dello spazio.

-Non pensi che sarebbe una via di fuga da tutto questo? - mi chiese

-Non lo so. Certo è che sarebbe quella facile. E io non mi fido delle cose facili.

sabato 2 marzo 2013

Luce, infanzia e insetti

- "No, a mamma! Mettilo a posto."

La voce, inconfondibile, di mia madre mi fa sgranare gli occhi. Davanti a me una scatola colorata, un caleidoscopio di colori che non riesco a decifrare. Le mie mani, piccole come quelle di un bambino, che la mantengono sospesa per aria. Alzo lo sguardo, davanti a me ci sono enormi scaffali bianchi, colmi di giocattoli colorati, di tutti i tipi e di ogni dimensione.

Con la coda dell'occhio mi sembra di vedere mio fratello, anch'egli poco più che bambino: tuttavia, ogni volta che mi volto verso di lui non c'è, rimane sempre ai bordi del mio campo visivo. Vedo invece, in modo chiaro, le gambe di mia madre e mio padre: mia madre con un vestito blu, con decorazioni floreali; mio padre con i suoi pantaloni grigi.

- "Metti a posto quella scatola, non sono cose tue!"

Cerco di parlare, ma non ci riesco: vorrei dire loro, per quanto la mia età lo permette, che non ho preso quella scatola perché la volessi, ero solo curioso dei colori, ero curioso di capire cosa fosse. Non la voglio davvero. Allora cerco di incontrare il loro sguardo, per capire se sono arrabbiati o meno. Ma sono alti, infinitamente alti. Alzo lo sguardo più su per quanto mi sia possibile, ma al di sopra del collo vedo solo una luce bianca, fortissima: cerco di mettere a fuoco la vista, per poterne notare almeno i lineamenti del viso, ma più mi sforzo più gli occhi strabuzzano, la vista si tinge di bianco, finché non vedo altro che bianco tutto intorno.

Mi riprendo sul sedile posteriore di un'auto. I miei sono alla guida, stavolta ne distinguo i contorni. Parlano tra loro, a voce bassa, indecifrabile. Forse non vogliono svegliarmi. Mi tiro su e guardo fuori dal finestrino, poco sopra il mio naso: ci sono colline verdi tutto intorno, con delle spruzzate di case in lontananza. E' un paesaggio familiare, anche se non riesco a ricordare il perché.

D'improvviso sento mia madre lanciare un urlo dalla paura e girarsi verso di me con lo sguardo preoccupato: una farfalla è entrata in auto, dal suo finestrino semi-aperto, e sta svolazzando nell'abitacolo. Ne seguo il volo, paralizzato, con la bocca aperta. Sento mia madre urlare "Chiudila! Chiudi la bocca!", e mio padre, che guida ora con fare nervoso, dirmi "Non aver paura! Rimani tranquillo, solo chiudi la bocca!". Ci provo, ma non riesco a muovermi.

Seguo con lo sguardo la farfalla, tra l'incuriosito e il terrorizzato. Dopo qualche altro giro per l'abitacolo, questa decide di posarsi placidamente nella mia bocca, sulla mia lingua. Mia madre con uno scatto la scaccia via dal suo nido improvvisato, e la schiaccia con un giornale arrotolato. Assisto alla scena immobile, ancora paralizzato, ma avverto nitidamente una cosa estranea sulla lingua: un pezzo d'ala della farfalla si è conficcato sulla mia lingua.

Mia madre inizia a disperarsi, dicendo che devo andare immediatamente al pronto soccorso, in quanto velenosa. Mio padre non dice nulla, preferendo concentrarsi sulla guida, e accelera l'auto.