sabato 2 luglio 2011

Camminando

Metto un piede davanti l'altro. Con cuore e mente aperta. Cercando di non pensare a niente, concentrandomi solo sui miei passi. Abbasso lo sguardo per facilitarmi il compito. Il marciapiede è uno di quelli vecchi, fatti di lastroni di pietra incastonati uno con l'altro. Non è un'unica colata di asfalto, né una distesa di sanpietrini, sassolini levigati ognuno in modo diverso tutti immersi in un mare statico di cemento. Questi lastroni sono sì levigati dal tempo, dall'usura, ma sembrano tutti uguali tra loro. Nessun tratto distintivo che ti permetta di capire dov'eri prima e dove sei ora.

Metto un piede davanti all'altro. Continuo a guardarli, i miei piedi, avvolti dai calzini a loro volta avvolti dalle scarpe; di quelle comode ma al tempo stesso che invogliano a camminare, ad essere usate. Ricordo che quando ero piccolo, camminando su lastroni simili a questi, o forse proprio questi, per gioco calibravo i passi cercando di star sempre esattamente dentro un lastrone. Come su una immensa scacchiera, muovendomi casella dopo casella. Un pezzo degli scacchi, nella più grande partita che mi troverò a giocare.

Metto un piede davanti l'altro. Come se fosse di nuovo la prima volta. Come se stessi imparando nuovamente a camminare. Stavolta senza le urla festose di genitori per il primo passo verso la crescita del loro pargolo. Ad ogni passo è un incedere di motorini sferraglianti sotto il sole, di vociare proveniente dai negozi, di vento che si muove tra rami secchi di alberi che sono lì chissà da quanto tempo.

Metto un piede davanti l'altro. Ricordi anche che, prima di voler essere una pedina, camminando volgevi lo sguardo in alto e tutto attorno: ricordi palazzi di vari colori, manifesti strappati, una oasi di verde circondata da pietre bianche, panni stesi fuori ad alcuni balconi danzare al vento. Uno spettacolo sicuramente più variopinto di quello offerto da una lastra monocolore praticamente infinita di nero, intervallata dai due tocchi di colore delle tue scarpe, o da qualche cartaccia per terra. Cosa è cambiato?

Il punto forse è che all'inizio tutti, camminando, si guardano in alto e attorno a sé stessi: forse per rendersi conto del fatto che si stanno spostando, forse perché ammirati dalla diversità multicolore rispetto alle mura di casa. Poi le prime cadute, pian piano, e il dolore susseguente ci spingono a guardare prevalentemente verso il basso. Per vedere dove stiamo poggiando i piedi, se è una superficie sufficientemente solida per sostenerci, per avere i piedi ben saldi, se ci sono ostacoli.

Forse è anche per questo che si dice che non conta tanto la destinazione, quanto il viaggio in sé.