giovedì 10 giugno 2010

Di getto - parte 5

Mi alzai da terra, dove mi ero accasciato. Quella oasi improvvisata d'ombra si era rivelata provvidenziale, salvandomi da...non so tuttora definirlo. Delirio, sparizione, annichilimento. Sorrisi tra me e me pensando che l' "oscurità" mi aveva "salvato".

Mi detti una sistemata, e sentii qualcosa nel taschino: era un foglio di carta. La grafia era familiare, probabile fosse la mia. Su di esso era appuntato solo un indirizzo, probabilmente era dove stavo andando col mio peregrinare. Lessi mentalmente a voce alta: "Via Sebastiano 15, 8° piano". Alzai lo sguardo come per cercare di orientarmi. Fu un gesto istintivo. Scopriì che non ero molto distante. "Curioso, visto che finora ho camminato senza una meta precisa", pensai.

Arrivato al portone, mi guardai intorno cercando di riconoscere la zona. Niente mi sembrava particolarmente familiare: i muri dei palazzi attorno rovinati dal tempo e dalla non curanza, imbrattati da graffiti sovrapposti che formavano a loro volta un ulteriore graffito; qualche saracinesca abbassata e dall'aria particolarmente vissuta. Sentii un 'clack' metallico: una persona stava uscendo proprio dal "mio" palazzo. Istintivamente approfittai subito dell'occasione per entrare. Non so se mi avesse notato, ma in fondo non me ne importava poi realmente.

Davanti a me c'era una distesa di scale, bianche, marmoree, e un piccolo ascensore scuro, con su il cartello "Guasto". Non persi tempo a lamentarmi, e mi incamminai lungo le scale, senza pensare al fatto che fossero ben 8 piani da fare. Durante la salita non potevo fare a meno di ripensare a tutto ciò che mi era successo dal momento in cui mi ero svegliato: quella sensazione di straniamento che mi aveva accompagnato, le successive azioni di routine svolte quasi meccanicamente, la traversata della "luce". E quella sensazione interiore, che sembravo aver ritrovato, di "sapere cosa fare", con una convinzione interiore. Quello che era stata la mia debolezza fino a poco fa e che, probabilmente, poteva costarmi cara, ora mi aveva reso per quanto possibile più lucido, più cosciente. Chiedersi in quale realtà fossi, tentare di dare un senso a ciò che mi circondava, erano tutte cose superflue. Nella mia condizione ero ben al di là di quei concetti. Luce, ombra, dubbio, certezza, tutto superato, tutto sullo sfondo, sfocato. Con ogni gradino sembrava acquisissi maggiore consapevolezza, come se cambiassi pelle.

Arrivai all'8° piano. Bussai. Vidi la luce dallo spioncino, c'era effettivamente qualcuno. Mi aprii lentamente la porta, dalla quale una flebile voce disse "Era ora. Entra pure.". Feci come mi disse. Poi mi voltai e aspettai che avesse richiuso la porta. Fu in quel momento che accadde.

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